Sul sentiero di Teutoburgo

/ 09.09.2019
di Cesare Poppi

Narra Svetonio in Le Vite dei Cesari che, nell’udire la notizia del massacro di Teutoburgo, l’imperatore Augusto fosse preso da un accesso d’ira: sbattendo la testa contro i muri del suo palazzo ripeteva furibondo: «Quintili Vare, legiones redde!»(Quintilio Varo, ridammi le mie legioni!). Publio Quintilio Varo, ahimè, scagliatosi sulla propria daga come voleva il codice d’onore dei legionari di una Roma d’altri tempi, giaceva cadavere suicida da qualche parte della densa foresta di Teutoburgo, nella provincia di Osnabrueck, nell’odierna Sassonia Meridionale. Assieme a lui i corpi di un numero stimato fra i 16 e i 20’000 legionari romani e auxiliarii germanici loro alleati – tutti caduti in quello che gli storici concordano essere stato il più grave disastro militare della storia di Roma, ricco di conseguenze per la storia successiva e non privo di una certa aura fatale anche per l’epoca contemporanea.

L’annientamento delle legioni XVII, XVIII e XIX in quel fatale 9 settembre del 9 DC ha il sapore di un disastro annunciato. Tutto era cominciato una ventina di anni prima con le vittorie di Druso contro le tribù germaniche guidate da Sigimero il Conquistatore, re dei Cheruschi. Così come era ormai costume di un Impero sicuro della propria forza morale, civile e militare, allo sconfitto erano stati imposti termini e condizioni di resa onorevoli. Questi comportavano l’affido in ostaggio ai romani dei due giovani principi germanici, figli di Sigimero, Flavo ed Arminio, in veste di garanti della pace raggiunta. A Roma i due fratelli furono educati nello studio del diritto romano secondo gli standard dovuti al loro rango per essere poi avviati alla carriera militare. Flavo diverrà uno dei più brillanti condottieri dell’esercito romano, convinto sostenitore quale era del modello politico e culturale globale dell’Impero. Al contrario, suo fratello Arminio, pur militando con successo come ufficiale dell’esercito romano, mai abbandonò progetti revanchisti a favore del suo popolo d’origine.

Al termine delle campagne di Tiberio contro i Germani, Publio Quintilio Varo, un esperto amministratore imparentato alla famiglia imperiale, fu incaricato da Tiberio di subentrare ai condottieri militari Gaio Senzio Saturnino e Marco Emilio Lepido per concludere la pacificazione ed organizzare l’amministrazione della nuova Provincia Germania. Alla notizia dello scoppio di una minacciosa rivolta in Illiria (Dalmazia) Tiberio fu costretto ad abbandonare la Germania portando con sé il grosso dell’esercito lasciando così al comando di Varo soltanto tre legioni. Fu a questo punto che Arminio, che mai aveva smesso di fare segretamente da coordinatore delle tribù germaniche ostili ai romani, decise di agire. Cheruschi, Marsi, Ciatti, Bructeri, Ciausi, Sicambri e Svebi – tutti avevano abbandonato le tradizionali inimicizie per allearsi contro Varo, peraltro noto per la sua crudeltà nel reprimere qualsiasi forma di dissenso all’Impero.

Arminio si trovava allora in una posizione ideale: era infatti consigliere fidato di Varo che, inesperto della regione, si affidava ai suoi consigli. Fu così che durante la marcia delle tre legioni rimanenti del presidio germanico verso gli accampamenti invernali sul Reno, Arminio fece circolare la fake news di una rivolta locale non tanto lontano dal tragitto di marcia delle legioni. Varo gli affidò il compito di trovare una rotta nel fitto della foresta di Teutoburgo che potesse far piombare i Romani addosso ai rivoltosi per annientarli. Arminio avviò la marcia più disperata dell’Impero prima di farsi di nebbia e unirsi ai suoi per dirigere il macello. Disciolte le compatte formazioni di marcia, le legioni si trovarono infatti sgranate in fila lungo 25 chilometri lungo un sentiero mal tracciato che la pioggia rendeva poi impossibile mano a mano che fango e melma crescevano al passaggio di cavalli e carriaggi. Archi messi fuori uso per l’umidità, cavalleria impossibilitata a manovrare, linee di comunicazione saltate, caos: il dio nemico peggiore dei romani di allora… Fra il 9 e l’11 settembre di attacchi diuturni, incessanti mordi e fuggi e malgrado i tentativi di spezzare l’assedio, la XVII, XVIII e XIX legione furono fatte a spezzatino ed annientate. Pare non vi sia ragione per dubitare dei cronisti che riportano come gli ufficiali romani furono ritualmente torturati, i loro corpi fatti a pezzi e bolliti per ricavarne le ossa con le quali confezionare potenti amuleti.

Teutoburgo fermò l’espansione dell’Impero verso Est, creando de iure le Due Germanie – critica giuntura ancor oggi de facto non risolta. Sarà la sorte di Germanico, nipote di Druso, raddrizzare le sorti dell’Impero nelle campagne fra il 14 e il 16. Recuperate due delle insegne delle legioni di Druso occorrerà ancora attendere per il recupero della terza. E Arminio? Arminio finirà assassinato dai suoi, gelosi del suo potere. All’offerta di un congiurato di avvelenare un Arminio ormai inviso, il Senato romano ribattè che il popolo Romano si vendicava dei suoi nemici né col veleno né col denaro, ma apertamente sul campo con l’onore delle armi. Capita l’antifona, i Germani fecero da sé. Altri tempi, altre congiure.