Al primo momento, prevalse l’imbarazzo. Una mattina di fine estate del ’59, a bordo della cremagliera, in partenza per la vetta del Generoso, mi trovai seduta proprio di fronte a Gottlieb Duttweiler, l’ospite d’onore della corsa speciale, dedicata al salvatore di quella storica ferrovia. Giornalisticamente parlando, era un caso fortunato, oggi si direbbe uno «scoop», termine allora inesistente. Certo, era una figura di rilievo nazionale e internazionale e dalla personalità singolare, a volte stravagante. Ma, per me, da poco redattrice di «Azione», si trattava del grande capo, al quale guardare con l’ammirazione e il timore, imposti da una gerarchia aziendale, a quei tempi tacitamente accettata.
Tuttavia, me ne rendevo conto, era un’occasione da sfruttare: faccia a faccia con Duttweiler, lo svizzero che più faceva parlare di sé, che vedevo per la prima volta, ma in realtà ben conoscevo. Infatti, sulle pagine di «Azione», mi capitava di condividere, con il redattore capo Vinicio Salati, il compito, anzi la responsabilità, di tradurre i suoi testi, destinati alla rubrica «Il giornale nel giornale», con cui Duttweiler, in prima persona, spiegava cos’era la Migros, oggetto di tanti malintesi. Erano testi che, se stavano a cuore all’autore, sul piano linguistico, apparivano ostici, e come traduttori ci davano filo da torcere. Adesso, però, mi tornavano utili e mi offrivano lo spunto per avviare una conversazione e superare lo scoglio del mio tedesco scolastico e del suo italiano improvvisato. Ma Duttweiler apparteneva alla categoria di quelli che, comunque, si fanno capire e l’attenzione la rubano.
Fatto sta che quell’incontro merita un posto importante nel bagaglio dei miei momenti più preziosi, vissuti sia sul piano professionale sia umano. Sfidando il rischio della ripetitività, o peggio il culto delle rimembranze, vale la pena di riproporlo. Ciò che sorprende, infatti, è l’attualità di un discorso, ascoltato più di mezzo secolo fa, in particolare sul conto di un Ticino, con il quale Duttweiler aveva stabilito un legame, tutto particolare, e ben diverso dall’affettuoso paternalismo che gli svizzeri tedeschi riservano alla «Sonnenstube», luogo in fondo a parte. Anche lui apprezzava le amenità del nostro paesaggio, e non a caso aveva scelto il Ticino per festeggiare i suoi settant’anni, il 15 agosto del ’58, al Monte Ceneri ed era orgoglioso della cittadinanza onoraria, conferitagli dal municipio di Capolago. Tuttavia, come mi doveva raccontare, mentre il trenino saliva fra i castani e le felci del Generoso, nel Ticino vedeva altre dimensioni e opportunità, ancora da percepire e sfruttare: un terreno di sperimentazione per il nuovo. Dove, lui, aveva osato muoversi. Nel 1933, con Migros Ticino aveva testato il passaggio dell’azienda privata alla cooperativa. E, nel 1935, scelse Lugano per lanciare, con l’Hotel Plan (allora si scriveva così) una formula turistica rivoluzionaria e avveniristica: l’all inclusive. Cioè, viaggio, soggiorno, ingressi al Lido, gite in battello, come dire una settimana di vacanza: per 65 franchi, con alloggio in pensione, e 79.50, in albergo.
Nella memoria di Duttweiler, però, quel ricordo continuava a essere legato a un episodio amaro: a Lugano, i primi ospiti Hotel Plan, furono accolti da un concerto di fischi, organizzato dall’Associazione degli albergatori. E gli fa dire: «Non si erano accorti che il turismo stava cambiando, radicalmente. Non poteva continuare a rivolgersi soltanto alle élite che trascorrevano le vacanze d’autunno nei grandi hotel. Ormai si apriva un’altra epoca: il tempo libero, le vacanze e i viaggi per tutti». E il Ticino stentava a tenere il passo del cambiamento che Duttweiler avvertiva: con l’intuito del precursore e con sensibilità sociale.
In proposito, affiora, dalla biografia curata da Curt Riess, un altro episodio che sembra di stretta attualità. Invece risale al 1956, quando la Svizzera si trovò alle prese con l’ondata dei rifugiati ungheresi. Ma dove sistemarli? Sembravano troppi e Berna intendeva limitarne l’afflusso a duemila. Duttweiler alzò la voce: «Non si possono imporre contingenti per le persone, come si fa per i formaggi e gli orologi». E per sistemarli propose gli alberghi: soluzione che suscitò proteste, ieri come oggi.