Ieri eravamo pronti a gridare allo scandalo, a inveire contro il CIO (Comitato internazionale olimpico, ndr) per aver accettato che i Giochi si celebrassero in un paese in cui i cadaveri si contano a migliaia. Oggi ci ritroviamo fragilizzati al punto da rimanere invischiati nella melassa olimpica. Basta poco per farci dimenticare incongruenze, ingiustizie sociali, scandali politici e umani, e sprofondare nei nostri divani, per seguire col cuore e con la pelle, più ancora che con la testa, le gesta dei nostri eroi. Che li si consideri eroi, campioni, leggende viventi o ambasciatori, gli sportivi hanno la straordinaria facoltà di rapirci e di trasportarci in un’altra dimensione. Quasi mistica.
Per una medaglia. Per inneggiare al nostro paese. Per vedere la nostra bandiera sventolare nei cieli della Cina. Per godere della riconfermata superiorità della nostra scuola in una determinata disciplina sportiva. Per liberarci dagli ingranaggi tentacolari della quotidianità. Per sentirci parte di un rito. Per tutto ciò siamo disposti ad alzarci prima dell’alba, oppure a spararci un filmone che ci traghetti fino alle due e mezza di mattina quando giungono le prime immagini olimpiche da Pechino.
I sacrifici umani, gli sfratti in massa, la tragedia della minoranza uigura, sono rimasti a letto. Se non addirittura fuori dalla porta di casa. Nelle nostre menti ci sono solo loro, i nostri eroi: Beat, Lara, e tutti coloro che ci hanno fatto e ci faranno vibrare. Penso spesso a una frase pronunciata da Adriano Panatta mentre andava in scena in mondovisione la partita tra Novak Djokovic e il Governo australiano: «Questi sono, e io lo ero, dei ragazzini in mutande che giocano con le pallette, e pensano di essere più importanti di Gino Strada! Non prendiamoci troppo sul serio, altrimenti diventiamo ridicoli».
Da un lato, come non dargli torno. Che calcino palloni, che corrano in sella a una bicicletta, o che scendano come schegge su una pista innevata, sono ragazzi e ragazze che giocano e che inseguono i loro sogni. Dall’altro queste persone ci regalano gioia, emozioni, senso di appartenenza e di coesione nazionale. Ecco quindi che un fenomeno come Beat Feuz diventa uno di noi: amico, fratello, figlio. È un campione di coraggio e di tenacia. Un ragazzo capace di lottare per risorgere da una condizione fisica che avrebbe persino potuto impedirgli di camminare.
Il discesista bernese è un fenomeno di modestia e di semplicità. Tutti, o quasi, in Svizzera – e anche al di fuori dei confini nazionali – siamo felici che abbia chiuso il cerchio portando nella sua bacheca anche l’Oro olimpico. Siamo persino disposti a perdonargli il fatto che non abbia neppure accennato mezza strofa del Salmo svizzero, mentre la nostra bandiera saliva sul pennone più alto. In fondo è un ragazzo dell’Emmental. La svizzeritudine ce l’ha tatuata nel DNA. Non ha nulla da dimostrare.
Così come nulla deve dimostrare Lara Gut-Behrami. Con quello che ha vinto potrebbe permettersi di vivere il viaggio in Cina come una sorta di premio alla carriera per tutto ciò che ha saputo farci vivere. Invece no. Lara lotta. Combatte. Vuole un’ulteriore ricompensa. Debutta ai Giochi con una prima manche del gigante che la colloca lontana dal podio. Ottava, ma con un secondo abbondante dal terzo posto.
Nella seconda prova parte con l’intenzione di incendiare l’universo. Il fuoco sacro trapela da ogni poro della sua pelle. Travalica la fibra della sua nuova tuta e giunge fino a noi che oramai siamo in punta di divano. Pianta un’involontaria frenata dalle parti del primo intermedio. In un paio di altri passaggi sembra al limite. Alla fine la luce verde la pone in testa alla classifica.
Dopo il passaggio delle sette ragazze che l’avevano preceduta nella prima manche, si ritrova sul terzo gradino del podio, con il bronzo al collo. Potrebbe recriminare. Pensare di aver gettato l’oro. Probabilmente quel giorno la più forte era lei. Invece no. Stende tutti con un sorriso che lascia trasparire la sua felicità più profonda. E come per miracolo, anche per chi in passato l’aveva criticata per alcuni suoi comportamenti bizzosi, Lara torna a essere a pieno titolo una di noi, tanto che poi ci ha premiati con uno strepitoso oro nel Super G, ma di questo e di altro riparleremo fra due settimane.