Stupidità e Covid: nuova alleanza?

/ 10.01.2022
di Luciana Caglio

Mi capita, ma forse è un vizio professionale, di conservare ritagli di giornale che sfidano l’attualità.

È una prerogativa che, nel mio caso, spetta alle pagine della NZZ, dove le notizie si prestano anche alla riflessione, documentando un momento di storia. Ciò che non esclude temi, a prima vista, insoliti, apparentemente futili. Ho, infatti, ritrovato un articolo, pubblicato il 4 marzo 2021 che s’intitolava La stupidità è sempre in voga (Dummheit hat immer Saison). E come spiegava l’autore, Peter Rosei, scrittore e saggista viennese, non si tratta della denuncia di in un vizio altrui bensì della consapevolezza che, con la stupidità, ci si trova sempre tutti quanti alle prese: «Un granello di sabbia che, se si accumula, diventa un macigno». Personalmente, Rosei ne prende le distanze: «Non sono una roccia ma un fiume». Con ciò, quest’osservatore del costume contemporaneo mette in guardia dall’imperativo dell’assoluto, in cui si annida in pianta stabile la stupidità, spesso camuffata da un apparente buonsenso. E che oggi si è trovata un nuovo compagno di strada: il Covid 19.

Fra gli effetti collaterali della pandemia, proprio la stupidità si manifesta in forme subdole o plateali, che confermano quanto sia difficile, forse impossibile, sconfiggerla persino nelle evolute democrazie in cui abbiamo la fortuna di vivere. Dove, però l’alto grado di scolarizzazione, i servizi sociali efficienti e governi che, comunque, reggono all’urto di circostanze eccezionali, non riescono, se non a debellare, almeno a limitare i guai della stupidità associata al Covid. Qui si è aperto un ambito sconfinato, imprevedibile e persino pittoresco di reazioni improntate alla protesta, alla diffidenza, alla supponenza nei confronti del cosiddetto potere costituito. Trattandosi di una malattia, ne sono vittime in primis i medici, la scienza in generale, e, non da ultimo, l’affarismo delle multinazionali, del resto bersagli risaputi. Ma il rifiuto dell’imposizione vaccinale, oltre alla categoria dei novax dichiarati, ha portato alla luce un paesaggio umano variegato e una topografia particolare.

Leggendo le cronache di casa nostra, o quelle italiane, e anche europee, si scopre come i sentimenti o risentimenti nei confronti della pandemia, subiscano variazioni determinate dall’appartenenza a regioni o ad ambienti sociali e culturali particolari. Ecco che nelle zone di montagna, dalla valle d’Aosta al Trentino, dal Voralberg austriaco al nostro Appenzello, dove esiste una tradizione di cure cosiddette naturali, abbinate a un redditizio turismo, si registra il maggior numero di novax, pacifici ma fedeli ad abitudini locali. Niente da spartire con la stupidità e il fanatismo, figurarsi. Tira la stessa aria persino nei quartieri alti di New York: dove va di moda l’orticello casalingo, a suo tempo inaugurato da Michelle Obama alla Casa Bianca, e anche qui il dovere di vaccinarsi incontra qualche resistenza. Mentre, aprendo un ben altro discorso, ci sono paesi, anzi continenti dove accettare o rifiutare un farmaco salvavita è un lusso inaccessibile.

Sta di fatto che il Covid domina l’attualità pubblica e privata, innesca paure, confusione, irrazionalità, come dire le componenti stesse della stupidità, che per una legge naturale ci appartiene e che, spesso, non siamo in grado di sfruttare a nostro favore. Per uscire dall’incertezza, Rosei fa una citazione astrusa: tira in ballo il Godot di Beckett: personaggio fittizio, che non arriverà mai.

Per concludere, preferisco affidarmi a Ottavio Lurati che, nella sua recente raccolta di detti curiosi, La pulce nell’orecchio (edizioni Fontana) cita il Covid l9: che ha lasciato tracce indelebili anche nel linguaggio. Con neologismi: fra cui la «resilienza», parola di cui, confesso la mia stupidità, stento a capire il significato.