Come tanti comuni mortali, anch’io ho ricevuto da Serafe la richiesta di pagamento del canone radiotelevisivo. Senza rinnegare il mio sostegno a chi ne ha avversato l’obbligatorietà di «leuthardiana» memoria, oggi ritengo giusto passare alla cassa e scorretto protestare contro questa moderna gabella sbandierando mancanze e difetti, senza tener conto di pregi e necessità di un vero servizio pubblico nell’informazione. A farmi sembrare sostenibile il canone Ssr ha sicuramente contribuito anche la concomitanza della bolletta con quanto le tre reti nazionali hanno saputo offrire in occasione delle recenti Olimpiadi. Lo confesso: ho passato ore e ore incollato all’iPad (di notte) e al televisore per seguire i servizi presentati quotidianamente sia da Tsi2, sia sulla piattaforma live streaming Tokyo 2020. E credo siano molti i telespettatori ticinesi (oltretutto riconoscenti per aver potuto seguire in diretta anche Noè e Ajla nelle loro imprese rossocrociate) concordi nell’esternare un elogio alla Rsi per la copertura di tutto l’evento, come pure per le meraviglie tecnologiche esibite, in particolare l’uso dello streaming. Ed è proprio quest’ultima parolina inglese a suggerirmi un’aggiunta.
Credo sia utile, anche se molti già lo conoscono e lo usano, anteporre una concisa spiegazione di questo servizio televisivo. Non è una novità, dato che è lo stesso che già da diversi anni consente a società americane pioniere nella distribuzione via internet (da Netflix a Disney+, da Apple ad Amazon) di operare sui mercati mondiali dell’intrattenimento mandando in tilt, se non proprio in crisi, le televisioni generaliste, costrette oggi a inseguire o a comperare programmi prodotti da queste concorrenti. L’avvio del primo streaming online nel 1999 era stato poco entusiasmante, nonostante avesse trasmesso, in diretta televisiva via internet, una... sfilata del brand di intimo Victoria’s secret. Subito emerse la difficoltà nel raggiungere una qualità che potesse perlomeno competere con le tv via cavo o via satellite. La svolta arriva un decennio dopo, con i servizi streaming di Netflix e di altri giganti della distribuzione via internet, che, in parallelo con la formidabile diffusione di tablet e smartphone, propongono (on line, cioè in diretta, o on demand, vale a dire a pagamento) dapprima videogiochi e grandi eventi sportivi, poi anche intere serie televisive, lungometraggi acquistati o prodotti, promozioni commerciali e persino campagne elettorali. In poche parole: lo streaming ha soppiantato le antidiluviane videocassette VHS e reso sempre più facile lo «scaricare» (download) di video e filmati – operazione che senza i G5 raggiunti dalle bande internet, richiedeva tempi lunghissimi – sino ad approdare anche alle dirette televisive.
Dopo la sontuosa copertura dei Giochi di Tokyo lo streaming è ora una specie di vaso di Pandora per le televisioni del futuro. Ne è convinto il collega Giuseppe Pastore de «Il Foglio» che lo definisce «uno strumento di onnipotenza che rende finalmente concreto e presente quel futuro di cui ci siamo riempiti la bocca per anni». Pastore lo ha indicato così per stigmatizzare la differenza emersa in Italia fra la copertura tradizionale di Tokyo 2020 della Rai generalista, spesso con imbarazzanti scelte programmatiche e ritardi, e quella di televisioni private (nel caso la Eurosport / Discovery) che invece hanno trasmesso in streaming. Ma si può anche ipotizzare il contrario, vale a dire che lo streaming possa diventare strumento di rivincita delle televisioni generaliste e del servizio pubblico sull’invadenza delle televisioni commerciali o private. Un’ipotesi basata però sul presupposto che le tv generaliste (dalla mitica Bbc alla sempre più abnorme Rai, quindi anche le tre sorelle del gruppo Ssr) decidano di impegnarsi a garantire un servizio pubblico anche nell’uso dello streaming non solo per gli eventi sportivi, ma soprattutto per ampliare e modernizzare anche altri servizi che le televisioni generaliste sono chiamate a offrire al pubblico: dalla cultura alla politica, dall’economia alla socialità, dall’educazione a divertimento e intrattenimento.
Purtroppo ho spazio per un unico esempio: immaginate fra due, tre o quattro anni uno streaming live denominato «Elezioni» – magari organizzato con finestre che, al posto delle discipline sportive, siano riservate ai partiti in lizza – attivo nelle settimane che precederanno gli appuntamenti alle urne per le elezioni federali, cantonali o comunali. Una simile piattaforma della Ssr, rispettivamente della Rsi, consentirebbe agli utenti di attivare su tv, pc, tablet e smartphone decine di video e servizi per seguire i programmi dei partiti in lizza: un «Elezioni» in streaming così strutturato potrebbe davvero essere «strumento di onnipotenza» utile per tutti i cittadini, in definitiva per la democrazia e l’informazione. Ecco perché considero lo streaming uno strumento potenzialmente valido per garantire la sopravvivenza delle televisioni generaliste come pure per consolidare il servizio pubblico, se queste sapranno strutturarlo e proporlo per ogni settore, non solo per lo sport.
«Streaming» non solo per lo sport
/ 23.08.2021
di Ovidio Biffi
di Ovidio Biffi