Strategia di sviluppo per il Cantone

/ 04.02.2019
di Angelo Rossi

Di recente mi è stato chiesto, intanto che preparavo la cena, di suggerire, al giornalista che mi intervistava telefonicamente, quale potrebbe essere, oggi, o domani, la strategia di sviluppo economico del Cantone. Compito ingrato! Non soltanto perché intanto che parli puoi difficilmente seguire che cosa sta succedendo nelle padelle, ma soprattutto perché così, sui due piedi, difficilmente potrai dire qualcosa che vada al di là della banalità. Se la risposta, improvvisata sui due piedi, sarà, con grande probabilità, banale, la domanda, invece, non lo è. Siamo alla vigilia del rinnovo dei poteri cantonali ed è quindi più che legittimo domandarsi che cosa il governo e il parlamento possono fare per lo sviluppo del Paese.

Chi scrive pensa che per trovare la risposta a questo quesito convenga staccarsi dal discorso ideologico e osservare invece quello che sta avvenendo, e questo per due ragioni. In primo luogo perché è molto difficile che dalle nuove elezioni esca una classe politica completamente rinnovata. E, in secondo luogo, perché gli indirizzi della politica governativa e parlamentare cambiano sì, ma molto lentamente nel tempo. In democrazie parlamentari come la nostra il cambiamento immediato, o nel breve termine, si manifesta solamente in seguito a iniziative popolari, oppure in caso di catastrofe. Insomma, mutamenti decisi e rapidi di direzione sono l’eccezione. La regola è invece quella della continuità: nella prossima legislatura non si farà molto di più, o molto di meno, o molto di diverso di quello che si è fatto nella presente. È vero comunque che se, invece di fermarci alla legislatura, prolunghiamo il periodo di osservazione a qualche decennio, possiamo osservare qualche mutamento importante.

Partiamo da 60 anni fa. Quello era il periodo della pianificazione. Si pensava che lo Stato, anche in un sistema di economia di mercato, avesse un ruolo-guida nel promuovere la trasformazione dell’economia e della società. Per quel che riguarda l’economia, nel contesto di un approccio keynesiano, l’attenzione dei politici, anche di quelli dei Cantoni, erano gli investimenti e il saldo della bilancia commerciale perché, si pensava, che l’aumento di questi aggregati avrebbe potuto avere un effetto moltiplicatore sul reddito. Anche il consumo dello Stato veniva guardato con un certo rispetto soprattutto quando la spesa statale promuoveva il progresso tecnico e il riequilibrio a livello territoriale. Poi, alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, è venuta la rivolta dei contribuenti a mettere la parola fine al modello della crescita basato sulla spesa pubblica. Allora si riscoprì, quasi come per miracolo, la taumaturgia del mercato. Verso la fine del secolo la parola d’ordine era «liberalizziamo i mercati», a livello nazionale e a livello internazionale. Lo Stato, anche quello cantonale, aveva sempre un suo compito specifico nella politica di sviluppo. Ma doveva giustificare i suoi interventi a forza di valutazioni ex-ante e ex-post. Prevaleva insomma il giudizio che la migliore politica di sviluppo fosse quella in cui lo Stato si limitava ad assicurare le condizioni per l’esercizio della concorrenza. La legge del mercato avrebbe garantito il resto.

Purtroppo sappiamo che la realtà dei mercati, anche dei nostri modesti mercati cantonali, non è quella nella quale il principio della concorrenza gioca un ruolo dominante. Così non mancarono le scaramucce attorno al ri-orientamento liberale della politica di sviluppo. A livello cantonale furono soprattutto i conflitti sull’uso del territorio e sulla politica di protezione dell’ambiente a mettere in luce le insufficienze del modello tradizionale dell’economia di mercato. Per non parlare naturalmente dell’astio sollevato dalla libera circolazione della manodopera. Così il modello liberale venne messo, abbastanza rapidamente, da parte anche dai politici del PLR. Oggi la strategia di sviluppo cantonale è largamente influenzata da aspirazioni protezionistiche. È il motto «prima i nostri!», e non obiettivi di efficienza, rispettosi delle forze del mercato, a definire le finalità della politica del benessere. Se questa politica dovesse continuare non è lontano il momento in cui ci ritroveremo tutti impiegati di qualche cartello con tariffe fissate dal Cantone o dalla Confederazione. Chi vorrà ancora cercare di guadagnare in un mercato, potrà tornare a collezionare francobolli.