Strafalcioni a testa alta

/ 13.11.2017
di Luciana Caglio

Il Reno sfocia nell’Adriatico. Il Monte Bianco sorge in Sardegna. Ginevra si trova in Francia. La capitale dell’Austria è Berlino, e così via. Sono svarioni, talmente elementari da sembrare inventati. Invece escono, ogni sera, dall’inesauribile serbatoio dei quiz televisivi più popolari, diffusi dalle reti italiane, in particolare da Rai 1, l’ammiraglia. E, così, una trasmissione come «L’eredità», che si avvale innanzi tutto dell’apporto dei concorrenti, diventa, involontariamente, un osservatorio sociale e persino psicologico. Non soltanto rivela, in forma diretta e spietata, il grado di cultura e d’informazione dei suoi ospiti, ma ne rispecchia anche i comportamenti di fronte all’errore. Ciò che capita spesso, creando situazioni, a prima vista, esilaranti. Un po’ come quando uno cade, per strada. Dopo la banale risata, ci si rende conto che il caso può essere grave, e si deve intervenire. Infatti, tutti questi ripetuti svarioni a proposito di fiumi, montagne, città, edifici denunciano un fenomeno inaccettabile e assurdo: l’ignoranza nei confronti dei luoghi in cui si vive, o verso i quali ci si sposta, in un mondo sempre più accessibile, che però, per molti, rimane uno spazio sconosciuto. Di cui non si sanno i connotati materiali, come latitudini, altitudini, confini, ecc. per non parlare, poi, dei contenuti umani e storici. Insomma, un evidente paradosso.

Ora, proprio questi errori madornali, resi di pubblico dominio attraverso il megafono dei quiz, dovevano provocare, in Italia, l’utile reazione degli addetti ai lavori della geografia. Insegnanti, studiosi, ricercatori hanno denunciato il disinteresse, persino il disprezzo nei confronti di una materia «diventata una cenerentola» nei programmi scolastici. E non soltanto lì.

Più in generale, come dichiarava sul «Corriere della Sera» Carlo Brusa, docente dell’Università Piemonte Orientale, «lungi dall’essere un inventario polveroso di monti, confini e capitali, la geografia, serve a leggere i paesaggi, a comprendere ragioni e movimenti delle masse che migrano». Si tratta, quindi, di rivedere la concezione stessa di una materia, da sottrarre al nozionismo (anche se, poi, alle nozioni è gioco forza far capo) e da affrontare nei suoi molteplici aspetti ambientali e umani.

Inevitabilmente, anche in questo dibattito si tirano in ballo le responsabilità della scuola, con docenti «incapaci di appassionare gli allievi». Viene allora da chiedersi: la geografia sarà per gli italiani, quello che è stata, e continua a essere, la civica per i ticinesi? Non sembra. Ragionevolmente, oltre confine, a una materia scolastica non si attribuiscono poteri miracolistici.

Al di là di questi aspetti collaterali, il fenomeno degli strafalcioni rimane, fondamentalmente, un caso televisivo, legato alla proliferazione e al successo dei quiz, che, ha ormai alle spalle una lunga storia. Scontato il riferimento a Mike Bongiorno, a cui Umberto Eco non risparmiò una severa condanna (in seguito ammorbidita). Sta di fatto che con quella gara s’inaugurava un’epoca: a un pubblico illimitato si apriva una tribuna dove comparire. E nasceva, appunto, il personaggio del concorrente, in continua trasformazione. Agli esordi, che ben ricordo, erano personaggi insoliti, chiamati a offrire la testimonianza di curiosità culturali o di capacità mnemoniche persino strabilianti. Gente che dell’opera, del cinema, dei celti, del calcio, delle motociclette, sapeva tutto, dando vita a scontri appassionanti, e seguitissimi. Tanto che a Lugano, il giovedì sera, in concomitanza con «Lascia o raddoppia», i cinema sospendevano le proiezioni. In seguito, strada facendo, il quiz, onnipresente, doveva diventare una semplice trasmissione d’intrattenimento, affidata a conduttori, tipo Gerry Scotti, Carlo Conti, o il nostro Pelli, simpatici, ma niente di più. Perché, ormai, si tratta di rubriche d’ordinaria amministrazione, frequentate da concorrenti che sono persone qualsiasi, tutt’altro che eruditi stravaganti. Adesso si limitano a scegliere, fra quattro risposte diverse, quella giusta. E se, poi, sbagliano, sbandando nella castroneria, non se la prendono. L’abitudine al quiz ha prodotto anche una nuova forma d’assuefazione, anzi d’indifferenza alla figuraccia.