Se si tratta di costruire uno stadio per il gioco del calcio perdiamo tutti la testa. Non solo a Roma. Esaminiamo il caso di Torino. Si dice: i torinesi praticano la virtù della prudenza, sono contrari a «fare il passo più lungo della gamba», detestano lo spreco. Per dimostrare quest’ultimo vanto, si cita il caso delle quattro colonne commissionate per decorare la facciata in restauro della chiesa del Corpus Domini.
Quando con molta fatica per il loro trasporto le colonne arrivarono si accorsero che qualcuno aveva sbagliato nel prendere le misure. Cosa farne? Buttarle via dopo tutto quello che erano costate? A poche centinaia di metri c’era un altro cantiere aperto, il Palazzo di Città. Anche se il progetto non lo prevedeva, applicarono quelle quattro colonne sulla facciata, nell’ipotesi che, con il trascorrere del tempo nessuno ci avrebbe fatto più caso. Sono ancora lì.
Ma per il gioco del calcio i Torinesi non badano a spese. Così, ospitando l’Italia nel 1990 il campionato mondiale, per esserne degni, costruirono un nuovo stadio, battezzato «Delle Alpi», nome scelto con un referendum. Un capolavoro dell’architettura moderna, una meravigliosa astronave. Per concedere disco verde, il Coni pretende la pista d’atletica attorno al campo da gioco con il risultato di tenere lontani gli spettatori che avevano bisogno del binocolo per riconoscere i calciatori. Quante gare di atletica sono state ospitate al Delle Alpi? Una, ma ne valeva la pena.
Trascorsi pochi anni si constata che il nuovo stadio non va, ha una capienza esagerata. Tiriamolo giù, prima che la sovrintendenza pensi di vincolarlo. Per farci cosa, al suo posto? Un nuovo stadio naturalmente: si chiama «Juventus Stadium», è di proprietà della squadra, pensato sul modello inglese come punto di riferimento per i tifosi, ben oltre i 90 minuti delle partite: 8 aree per la ristorazione, 21 bar, 34’000 metri quadrati di area commerciale.
Nella storia di Torino c’è un altro impianto sportivo che nessuno ha voglia di ricordare: lo «Stadium», pensato per essere il più grande del mondo, maggiore di quelli di Atene e di Londra, dove si erano svolte le Olimpiadi del 1896 e del 1908, per celebrare il primo cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911. Fu inaugurato il 30 aprile 1911 da re Vittorio Emanuele III e dalla sua signora, il giorno dopo l’apertura della Esposizione Universale. Sorgeva su un’area di 100’000 metri quadri su quella che fino alla fine dell’800 era stata la piazza d’armi per le esercitazioni militari e che ora ospita il Politecnico e altri istituti scolastici. Definito una «sorta di via senza ritorno nell’evoluzione darwiniana degli impianti sportivi», poteva ospitare 70’000 spettatori. Nel 1911 gli abitanti di Torino erano 427’733, un abitante su 6 poteva andare allo Stadium; in proporzione è come se ora a Torino costruissero uno stadio per 150’000 spettatori. Tutti gli sport potevano trovare ospitalità allo Stadium: corse di cavalli, di ciclismo, podistiche, gare di nuoto, lotta, tiro a segno con archi e balestre, tennis (il primo incontro di Coppa Davis a Torino, 15,16 maggio 1931, Italia-Olanda 3-0).
E il football, direte voi? Beh, la struttura in calcestruzzo era così grande che impediva una visione soddisfacente dei giocatori. Nei suoi trenta anni di vita ospitò ben cinque partite, di cui quattro con la nazionale italiana. In compenso lo Stadium ospitò tutti i circhi equestri di passaggio, serate pirotecniche, gare di palloni sferici. Nel 1923 fu teatro di una Passione di Cristo e il 27 maggio del 1928 si tenne un grandioso Carosello Storico, con tutta la nobiltà sabauda, il principe Umberto in costume da Emanuele Filiberto mentre sua sorella Jolanda interpretava la parte della moglie Margherita di Valois. Le cronache parlano perfino di una corrida incruenta allo Stadium!
Intanto i club del calcio avevano cominciato a costruire i loro impianti e alla fine degli anni 30 anche lui fu tirato giù. Per distruggerlo ci volle il doppio del tempo impiegato per costruirlo. La tendenza di ciascun club a farsi il suo stadio è ritornata e oltre al «Juventus Stadium» in funzione con generale soddisfazione e profitto, anche l’altra squadra cittadina, il Torino Football Club fra pochi mesi avrà pronto il suo, chiamato «Filadelfia», dal nome della via e nel luogo dove c’era il precedente stadio inaugurato nel 1926 e distrutto dalle bombe durante la guerra. È pensato con lo stesso criterio, come un club per i tifosi, con un museo ricco di cimeli, l’immancabile centro commerciale, aperto ogni giorno.
Per ora la squadra del Torino gioca nello stadio più longevo della città. Nasce come «Stadio Mussolini» (indovinate in quali anni), nel dopoguerra diventa «Stadio Comunale», poi, rimesso a nuovo in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006 «Stadio Olimpico»; battezzato infine «Stadio del Grande Torino», in ricordo della squadra caduta con l’aereo a Superga il 4 maggio 1949. Di sera incombe su chi lo circumnaviga per fare jogging come un’enorme e minacciosa massa nera. Si riaccende e ritorna in vita solo una volta ogni due settimane, quando il Torino gioca in casa. Fra pochi mesi, neanche questo breve ritorno in vita accadrà più. A quel punto inizierà l’acceso dibattito: cosa ne facciamo? Lo tiriamo giù? Oppure lo usiamo per ospitare corride e caroselli storici?