Storie di monopòli e Monòpoli

/ 05.04.2021
di Ovidio Biffi

Ripasso (personalissimo) di due secoli di storia geopolitica. Il passato: imperi costruiti sui commerci e sulle materie prime «coloniali» (dalla seta alle spezie e all’oppio) con all’apice prima la Compagnia delle Indie orientali, imitata da Itt e United Fruit in America latina, poi l’Anglo-Iran Oil e i cartelli petroliferi fino a metà del secolo scorso. Il presente: le grandi multinazionali e i colossi finanziari (dalla «Billionairs United» di Buffet, Gates, Bezos e pochi altri sino ai fondi ormai sovrani anche degli Stati) che dall’abbrivio del secolo scorso in poi, passando da orrori e macerie di due guerre, disastri politici e ripetute crisi finanziario-economiche, hanno soppiantato prima i baroni inglesi e il complesso militar-industriale prussiano, poi il comunismo. Ci sono riusciti vincendo guerre con armi sempre più distruttive (dai carri armati ai bombardieri, dai missili nucleari ai droni), poi con invenzioni assai meno distruttive (macchine, soprattutto auto, aerei, televisori, personal computer, ma anche padelle in teflon, lavatrici ecc.) altrettanto efficaci per dominare economie, mercati e consumatori del mondo intero.

Ora, tutto fermo da un anno per pandemia, si guarda al futuro scenario geopolitico dando per possibili, perlomeno a parole, cambiamenti in grado di generare etica nell’impero finanziario e sostenibilità in quello commerciale. Nei fatti, come potenziale nuova «Compagnia delle Indie Orientali», all’orizzonte si staglia già una «macchina da guerra» gestita dai giganti Big Tech statunitensi, operante come sorta di monopolio da Ventunesimo secolo e facilmente trasformabile in controllore della scacchiera geopolitica mondiale. Incontra un solo grande ostacolo: il «capitalismo di stato» della Cina che, impiegando le mirabolanti armi copiate dal capitalismo occidentale e abbinando concorrenze spietate a mire espansionistiche, in pochi anni si è ritagliato supremazie in tutto il Sud-est asiatico, in Africa e ora cerca di attivarle anche in un’Europa disunita e in un’America latina disperata. Approdo a questi scenari dopo aver riletto Guerra digitale, libro che continua a inanellare conferme su quanto prospettavano quasi due anni fa gli autori: Luca e Francesca Balestrieri, lui esperto di tv satellitari e dirigente Rai, la figlia una matematica ricercatrice al Max Plank Institut di Bonn, uniti per esporre con chiarezza esemplare conoscenze e teorie riguardanti tecnologie, economia e geopolitica. Avevo già segnalato il loro libro nel novembre 2019.

L’ho ripreso in mano alla luce dei sempre più chiari e impressionanti dati della potenza finanziaria dei giganti del Big Tech, nonché dell’inasprirsi della contesa (scontri e tensioni crescono quasi ogni giorno) in atto fra Cina e Stati Uniti, come pure le forzature della nuova amministrazione Biden per riposizionare gli alleati storici. Va però ricordato che, proprio all’interno dell’Unione europea, la supremazia tecnologica e finanziaria dei Big Tech e il nuovo espansionismo cinese continuano a suscitare timori. In particolare a preoccupare sono i pericoli legati a usi e abusi dei dati personali per potenziare misure di sicurezza, controllo delle informazioni eccetera, valori che, sia pure con finalità diverse, Stati Uniti e Cina considerano «sacrificabili» sull’altare dello sviluppo commerciale, mentre da noi – e giustamente – a prevalere è la necessità di garantire libertà individuali e sicurezza personale, come pure eque imposizioni fiscali e vigilanza sulla disinformazione.

Torno alle strategie del gruppo FAGMA (l’acronimo con cui gli esperti definiscono Facebook, Apple, Google, Microsoft e Amazon), per dire che negli scorsi giorni nella newsletter di un analista finanziario ho trovato interessanti conferme sul fatto che ormai tutte le grandi aziende tecnologiche mirino sempre più a diversificare (qualcuno pensa per sfuggire a future accuse di attività monopolistiche) operando colossali investimenti e acquisizioni mirate non solo nel settore della componentistica riguardante la guida autonoma, ma anche nella costruzione di autoveicoli. Dall’analisi si evince che la Apple, forte del suo primato di maggior azienda hi-tech mondiale punta al lancio di una propria vettura entro il 2024 e conduce anche una politica aziendale basata sullo «shopping compulsivo»: potendo contare su oltre 200 miliardi di dollari di liquidità, l’ad Tom Cook è come un giocatore di Monòpoli che compra tutto ciò che si muove, cioè acquista startup o imprese già affermate potenzialmente in grado di procurare nuove tecnologie o nuove idee alla Apple o di sottrarle alla concorrenza.

Si dirà: in fondo sono strategie riscontrabili anche in altre multinazionali, impegnate a favorire con la loro potenza finanziaria sinergie industriali o a eliminare gli ostacoli (talvolta anche geopolitici) che possono minacciare o intralciare i rispettivi campi di influenza. Però sono strategie che stanno segnando anche l’agire delle grandi imprese farmaceutiche impegnate contro la pandemia sui mercati mondiali dei vaccini. E vedere le multinazionali dei «vaccini privati» statunitensi concorrenziare a tutti i costi i «vaccini di Stato» di Cina, Russia, India e Europa, getta qualche ombra in più sui futuri scenari della geopolitica.