A chi mi chiede la più evidente prova della disattenzione dell’Occidente verso il degrado ambientale, non cito proclami o allarmi di qualche profeta della lotta per la salvaguardia del clima, ma una semplice frase: «Eppure l’acqua – acqua pulita, purificata, potabile – è usata per il trasporto dei rifiuti organici nelle fognature». Da tanti anni queste parole suonano per me come prova della nostra irragionevolezza: acqua potabile, a litri, sprecata spensieratamente e senza alcun rimorso (salvo le foglie di fico dei depuratori) per far sparire i nostri rifiuti organici. Le ha scritte Ruth Link, una giornalista americana, stabilitasi in Europa nell’immediato dopoguerra, desiderosa di conoscere la forma di economia mista e degli sforzi per creare una socialdemocrazia in Svezia. Il suo nome dirà poco o niente a quasi tutti i lettori. Anche sui vari motori di ricerca digitali non sono riuscito (ha un cognome che non aiuta!) a verificare se la quasi centenaria Link, sposatasi nel 2017 a 93 anni con un agiato sessantenne svedese, sia ancora in vita.
Oggi la Link viene ricordata praticamente solo per un suo ricercatissimo libro per bambini, Una casa piena di topi, un’allegoria dell’esplosione demografica. Poco o nulla invece è rimasto delle prese di posizione che la studiosa americana, attiva collaboratrice dell’organizzazione svedese per l’aiuto allo sviluppo (Sida), nella seconda metà del secolo scorso ha continuato a diffondere con articoli e saggi che riguardavano la salvaguardia delle risorse naturali nei vari continenti e paesi. Riletti oggi, suscitano meraviglia frammista a un forte senso di colpevolezza per non aver ascoltato questa donna che, oltre a individuarne le problematiche, esortava a combattere il degrado ambientale.
Ho pensato a Ruth Link leggendo una notizia proveniente da Madrid e da un governo (quello spagnolo, guidato da Pedro Sanchez) particolarmente attivo nella scelta di nuove vie per fare politica. Un progetto di legge, ispirato all’economia circolare (altro recupero da compiere!), favorirà in Spagna progetti collaborativi tra ristoranti, organizzazioni di quartiere e banche alimentari «sulla prevenzione delle perdite e degli sprechi nell’alimentazione». In un momento fortemente segnato dai disastrosi effetti dei mutamenti climatici, e soprattutto dal drammatico problema dell’approvvigionamento e della distribuzione dell’acqua, la notizia mi ha ricordato un breve saggio di Ruth Link degli anni Settanta. Titolo emblematico: Spreco contro bisogno. In apertura dell’articolo, sottolineando la scarsa riuscita dei numerosi «piani di azione» delle Nazioni Unite contro i problemi che già in quegli anni oscuravano la scena mondiale (crescita demografica, fame, accesso all’acqua ecc.), l’autrice mette a confronto le ingenti spese militari di quel tempo con la mancanza di cibo e acqua per quasi un miliardo di persone in paesi poveri o in via di sviluppo. Poi affronta il capitolo dello spreco con parole che sembrano quelle di un editoriale dei nostri giorni: «Nei paesi ricchi lo sperpero è un modo di vivere. (…) In un mondo dove un quinto dell’umanità ha fame, un altro quinto mangia troppo, fa la dieta e cerca sostanze che non ingrassano. (…) I ricchi mangiano più proteine di quanto è salutare, sebbene ci vogliano dieci chili di grano per produrne uno di carne e dodici litri di acqua per produrne uno di latte e benché i paesi ricchi comincino a sperimentare la mancanza di acqua».
È a questo punto che inserisce l’espressione risentita riportata in avvio: «Eppure l’acqua – acqua pulita, purificata, potabile – è usata per il trasporto dei rifiuti organici nelle fognature». Ma non è il solo spreco censurato. Ricorda anche che bruciare il petrolio è «consumo inutile di una risorsa naturale alla base di potenziali prodotti alimentari, di plastiche, di combustibili più potenti, che inquina l’aria e da questa il suolo». La conclusione è affidata a un ultimo monito, rimasto sinora inascoltato: «Sebbene i climatologi ci dicano che non possiamo continuare ad aggiungere energia all’energia, innalzando la temperatura e aumentando la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera senza provocare lo scioglimento delle calotte polari, noi, per ora, andiamo avanti tranquillamente». Lette oggi, queste parole aggiungono alla colpa per gli sprechi anche quella di tanti anni di sciagurata indifferenza.