Sembra in declino la popolarità dei segni zodiacali, e ci sarebbe da rallegrarsi. Ma, intanto, acquista credito un altro mantra, più subdolo, persino camuffato da buon senso, qual è appunto la percezione. Rappresenta una forma di conoscenza approssimativa, basata su dati sensoriali occasionali, che però assumono un valore di verità, ampiamente condivisa. Gli psicologi parlano di un percorso cognitivo distorto che, in USA già negli anni 80, trovò la calzante definizione «bias», cioè una visione obliqua delle cose. Che, spesso, fa opinione, in ogni ambito nella nostra quotidianità. Insomma, con gli effetti della percezione ci si trova a fare i conti, sia da protagonisti coinvolti che da spettatori allarmati. In proposito, l’attualità ci sta offrendo un caso, più che mai vicino e rivelatore.
Recentemente, Lugano, sulla scorta di dati statistici accertati, è stata dichiarata città più sicura della Svizzera. Ora, l’opinione pubblica locale non ci crede. Anzi, non manca di considerare quel titolo una forma di propaganda da parte di un’ufficialità, in perdita di consensi. Che, tuttavia, spera di recuperare, lanciando un sondaggio d’opinione su ampia scala: ben 15’000 abitanti, dai 16 anni in su, scelti attraverso sorteggio in tutti i quartieri, sono sollecitati a esprimersi sul tema sicurezza, che ha assunto i connotati politici che conosciamo. Si tratta, quindi, di scoprire dove, quando e come questi cittadini si sentono, o no, al sicuro , muovendosi nel contesto quotidiano. Risultati alla mano, verrà confermata o smentita la percezione d’insicurezza, oggi dominante?
Forse, la riflessione, imposta da un questionario scritto, potrà correggere l’immagine che si ricava dai contatti diretti con i più diversi momenti di vita collettiva, fra colleghi di lavoro, fra sconosciuti alle casse dei supermercati o sugli autobus, fra conoscenti al bar, o con interlocutori casuali: insomma, sempre e dappertutto, l’insicurezza va alla grande. Sembra persino coltivata, con l’amaro piacere di andare contro, veicolata appunto della percezione. Personalmente, e sempre più con il passare degli anni, ho avuto modo di registrare, in questa città in teoria accogliente e tranquilla, reazioni di disagio, di timore, non di rado al limite del grottesco. Anche qui bisogna distinguere. Un conto è quel momentaneo senso di vulnerabilità, che si prova istintivamente, la sera, all’autosilo deserto. È una forma primaria di paura, che induce all’autodifesa. Un conto, invece, la percezione di un grave incombente pericolo che va ben oltre, stravolgendo la visione di una realtà luganese e dando vita a fantasmi. Gli esempi, in proposito, si sprecano. Ecco, la signora che gestisce un ristorante, in pieno centro, che si sente minacciata dalle infiltrazioni mafiose, che hanno invaso la ristorazione cittadina. Cerco di chiederle se ha subito intimidazioni, ha dovuto pagare un pizzo, qualche vetrina infranta? Niente di tutto ciò, la mia interlocutrice rispetta la trama di pericoli che appartengono, ormai, a un immaginario collettivo, dalle conseguenze autolesioniste. C’è chi, dopo le sei di sera, non esce più, rinunciando implicitamente a spettacoli e svaghi d’ogni genere. Ma, adesso, con certe facce che girano, è meglio non rischiare. Anche è logico domandare : è stata vittima di aggressioni o furti? No, niente. Ma conviene cautelarsi. Per dirla con Papa Francesco: «La paura può fare impazzire».
Ed è una paura che si manifesta nei confronti di pericoli diversi, cibi, come carne rossa, medicinali, vaccini, persino ideologie e sistemi politici, e situazioni meteo (i famosi 35 gradi percepiti) e sempre veicolati attraverso l’inflazionata parola percezione, che però non figurava nell’elenco dei vocaboli più pronunciati, ascoltati e letti in Svizzera, lo scorso anno. Secondo le ricerche di un gruppo di addetti ai lavori, linguisti, scrittori, attori, i vocaboli del 2018 sono stati, «Doppeladler» (il gesto dell’aquila di Xhaka e Shaqiri) e, per il Ticino, «notte tropicale», alludendo ai +20 gradi notturni, registrati anche nelle valli. Non si cita percezione: e giustamente. Questa non è una parola dell’anno, ma dell’epoca.