Ho scritto la mia prima rubrica per «Azione» nella primavera del 2014. Da inizio anno ero diventata a tutti gli effetti una giornalista freelance. Erano, penserete subito, tempi incerti. Sicuramente, nella mia esperienza però l’incertezza è sempre stata una grande spinta a fare bene, alzare l’asticella, accogliere senza paura le nuove sfide. Essere freelance per otto anni, gli anni che esiste questa rubrica, è stata per me una scelta non solo professionale ma anche di vita. Spirito libero, creativa, con la voglia e la grinta di approfondire le questioni che mi stanno a cuore, l’umiltà di imparare, la condizione di freelance è stata ideale per raccogliere, man mano, gli strumenti utili per orientarmi in un mondo dinamico. Lo sguardo che sviluppi stando a contatto con più realtà senza essere interna ad alcun sistema ti permette di ampliare e diversificare il tuo sguardo. O, più semplicemente, ti impedisce di dormire sugli allori. Nel mio bagaglio esperienziale di questi anni c’è una parola che più di altre ha connotato il mio fare ed è la stessa scelta per questa rubrica: connessione. Parola ricorrente, sicuramente inflazionata, il vocabolario Treccani la definisce un’intima unione fra due o più cose, il legame o la stretta relazione e interdipendenza tra fatti e idee. Per la rubrica avevo scelto «La società connessa» per raccontare l’impatto delle tecnologie, di internet sul nostro vissuto quotidiano. Pensiamo a come sono cambiati i giornali, come è cambiato il nostro modo di leggere e informarci. Abbiamo infinite e maggiori opportunità rispetto a un decennio fa, possiamo leggere i più grandi giornali dal divano di casa o mentre siamo sul bus ma possiamo anche seguire le notizie dove e quando vogliamo semplicemente stando sui social. La famosa disintermediazione per cui non ci informiamo andando alla fonte ma navigando nel grande mare della Rete secondo le nostre personali rotte di navigazione. Pensiamo all’Ucraina. Grazie alla nostra connessione digitale possiamo seguire sempre, in qualsiasi momento, tutti gli aggiornamenti disponibili. Capita allora che scorrendo la nostra timeline di Fb vediamo le desolanti immagini dei resti dell’ospedale pediatrico di Mariupol incastrate tra la pubblicità del cappotto rosso che ci piace tanto (ma non abbiamo ancora comprato perché siamo insicure della taglia), ai post degli amici che raccontano l’ultimo locale di grido dove hanno mangiato sushi. Mi chiedo se questa indistinta bulimia di immagini e significati non ci porterà alla schizofrenia. Mi chiedo quali effetti avrà la nostra illusoria percezione di avere tutto sotto controllo, di esistere per il semplice fatto di essere connessi. La connessione digitale ha creato una sorta di bolla, di stato psichedelico in cui pensiamo di sapere e controllare tutto. In primis le nostre emozioni. Tutto ciò che ci raggiunge suscita in noi delle reazioni ma non ci tocca realmente, non ci dà un pizzicotto, non ci pesta un piede, non ci tira uno sputo in faccia. Ecco allora che voglio concludere con un elogio alla connessione umana e una preghiera: che pur nel segno del cambiamento dei tempi la nostra società non dimentichi la magia e l’intima sostanza di cui sono fatte le relazioni umane. Qualche tempo fa con degli amici, una di loro è artista e ha una piccola galleria, abbiamo organizzato una cena in questo magico spazio con la nuova mostra appena allestita. Il nostro amico Horst ci ha messo alla prova con una domanda: «dove, in quale parte del corpo risiede la nostra anima?». Qualche giorno dopo ho trovato la mia personale risposta e cioè che non conta tanto il dove ma il quando, quando cioè in quale momento siamo in tale intima comunione con noi stessi da sentirla, da percepirla in noi con tale intensità e chiarezza da esserne istantaneamente pervasi dalla punta dei piedi fino alla testa. A me capita quando pedalo in bicicletta di prima mattina lungo il fiume e incontro gli scoiattoli o quando sono in scuderia da sola con il mio Edelstern. E voi? Mentre ci pensate, cari lettori e care lettrici, voglio ringraziarvi per avermi seguita in questi anni, per me è sempre stato un grande onore poter scrivere per voi e spero di esserne stata all’altezza. Continuerò a farlo con impegno nelle pagine di cultura.