Sogno (sotto) un porticato diffuso

/ 17.05.2021
di Ovidio Biffi

La vecchiaia, aiutata un po’ dall’ignavia che difficilmente i vaccini anti-Covid faranno sparire, mi sta abituando a tempi supplementari nel riposo notturno. Mi spiego meglio. Per una vita ho potuto rispettare la sveglia mattutina ereditata nel Dna da mamma e papà che, per commerciare, si alzavano ben prima che il sole spuntasse da dietro le coste che dal Bisbino scendono fino a Chiasso. Da un anno in qua, invece, il risveglio mattiniero è popolato da lusinghe che vanno dal «Ma che ti alzi a fare» al «Tanto troveresti tutto chiuso» e spingono a girarmi dall’altra parte. Mi capita così di inanellare lunghi momenti costellati da un turbinìo di riflessioni e rimandi.

Un mattino di fine aprile, sveglio dalle 5, mi trovo nella mente i problemi che riguardano la città di Lugano: dall’ex-Macello all’aeroporto, dal Polo sportivo al centro che si atrofizza. L’origine di questi «miei» fantasmi? La sera prima avevo sentito in tv che i giovani alternativi il giorno prima avevano manifestato davanti al LAC e su questo fatto ho finito per ricamare una ridda di pensieri, tutti segnati da un palese dato di fatto: oltre che politicamente intricatissimi, i problemi di Lugano sono quasi tutti di natura... immobiliare. Problema dei giovani, non importa con quali sfaccettature e ovviamente chi se ne frega del calo demografico? Tutto nell’ex-Macello. Problema del tempo libero e dello sport? Tutto attorno allo stadio, anche lui quasi ex, visto che tra poco festeggia 70 anni e per questo bisognoso di cure, cioè di inevitabili «optional»... immobiliari. Problema dell’accoglienza turistica (turismo congressuale come obiettivo, ma niente o poco a riguardo di strutture e formule ricettive da ammodernare, di un’attrattività tutta da riconquistare, ecc. ecc.)? Tutto concentrato sul «centopezzi» dell’ex-Conza.

Volendo potrei aggiungere altri esempi: dall’aeroporto ormai occupato dai cormorani alle vie del lusso che perdono richiamo e si svuotano, dalla moria degli istituti bancari alla chiusura di alberghi. Ma le mie pensate mattutine riguardano i tre casi clinici già citati: uno realizzato come polo culturale a est (LAC), un secondo pronto per essere varato a nord (Cornaredo) come polo sportivo e un terzo, ancora in via di allestimento, come centro turistico e congressuale a ovest (Conza). Al di là delle intenzioni e dei bisogni per cui sono stati progettati o creati, questi tre poli formano un imponente triangolo urbanistico che rischia di penalizzare ulteriormente il centro della città perché in grado di alimentare ulteriori forze centripete. Non è un pericolo astratto o opinabile: il caso del LAC e quello del quartiere Usi (ora allargato alla nuova sede Supsi) possono confermare la discrepanza in atto fra ciò che Lugano mette in cantiere e ciò che intende far decollare: si progettano poli di eccellenza ma si creano oasi distaccate, incapaci di creare sinergie con il centro.

Cercando i motivi all’origine di questa assenza di parallelismo, nel groviglio dei miei pensieri si inserisce un’altra notizia, giunta sul web prima di coricarmi: il varo di un progetto architettonico a Milano, un lungo e spazioso porticato in legno tutto coperto di pannelli solari. Lo «Sdraiato», come lo chiama il «Corriere della Sera», ha garanzie ecologiche ed è ecosostenibile, quindi a impatto zero, agibile al flusso pedonale con corsie riservate a monopattini e biciclette e lungo il percorso per collegare un nuovo palazzo con il quartiere dei grattacieli (Milano City Life) sarà costellato di soste e inserimenti di vario tipo. Ho subito immaginato una variante luganese che, oltre a proporsi come strumento urbanistico verso est, affronti anche un altro compito. Innanzitutto ho «visto» un serpentone di legno con strutture hi-tech e ricoperto di pannelli solari, un porticato diffuso che parte da piazza Castello – o da un Palacongressi ristrutturato e adibito a scopi diversi –, attraversa il parco Ciani e, costeggiando il Cassarate, raggiunge il futuro polo dell’area ex-Conza, magari lambendo anche il Teatro della Foce (sogno nel sogno: non potrebbe diventare oggetto di scambio con chi chiede la luna come centro culturale alternativo?).

L’ho poi «visto» anche come prototipo di una mobilità urbana mirata a legare (e non solo a collegare) il centro con i nuovi o futuri punti cardine della città, basata cioè su un approccio diverso, meno zavorrato politicamente, ai problemi di grandi progettazioni che non possono essere solo immobiliari. Alle 6 decido di spegnere le scintille utopiche delle mie «pensate». Pochi giorni dopo, su Instagram, il sindaco Borradori a una bella fotografia della nuova fontana di via della Posta abbina questa citazione di @Enrico Ratto: «Attività diverse per funzione e target sociale, che messe insieme rendono vivo un quartiere ventiquattr’ore su ventiquattro. E che, probabilmente, rendono la vita urbana possibile anche a piedi...». Ma allora, anche un porticato diffuso...