Almeno in casa nostra, famiglia super-allargata con 5 figli dagli 8 ai 20 anni, una delle parole più ricorrenti è social. L’argomento è all’ordine del giorno. Kim, il figlio 15enne di mio marito, già in vacanza al mare in Sicilia quest’estate tenta di convincermi che i social in mano agli adolescenti non sono il demonio come penso io che continuo a ripetere come un mantra «Staccatevi dai cellulari!». Il tono acido che uso lo potete immaginare. Per aprirmi nuovi orizzonti, come mi dice Kim per prendermi in giro, mi racconta la propria esperienza: nel 2017 a solo 11 anni apre l’account Instagram @ilragazzoconunpallone. Lo fa dopo aver visto alcuni post sul calcio, il suo sport preferito. In quel momento non ha idea di come bisogna fare a produrre un contenuto: i collage di foto, l’aggiunta di testo, l’utilizzo di hashtag per raggiungere una quantità maggiore di account, ecc. sono tutti passaggi che Kim confessa di avere imparato sul campo. Così le prime pubblicazioni sono con foto di cattiva qualità trovate su Google sotto le quali viene aggiunta una breve didascalia. Giorno per giorno, settimana dopo settimana, Kim capisce come aggiungere il testo migliore, modificare con filtri ed effetti le foto e quali collage fare per creare post creativi e originali per intrattenere al meglio i propri seguaci. A gennaio 2018, ad appena 12 anni, arriva la prima collaborazione con un’importante pagina di calcio e dopo solo un anno Kim inizia a creare e pubblicare contenuti di alta qualità. Oggi @ilragazzoconunpallone conta quasi 40 mila followers, raggiunge più di 1 milione di account e viene considerata una delle pagine di calcio più influenti per tutti gli italofoni utenti di Instagram.
Ma le Parole dei figli non finiscono qui. Quanto vi ho appena raccontato dell’esperienza di Kim, infatti, è illustrato in un paper universitario. L’ha scritto Tao, l’altro figlio di mio marito, un ventenne impegnato in studi di Economia all’Università di San Gallo. Tao prende come esempio la storia di Kim per, come dice il titolo, «capire chi sono i nativi digitali e come la loro creatività verrà utilizzata dal mercato del lavoro». Tao è incontenibile e ci illustra la relazione durante una cena. Il mio spasmodico desiderio di cercare di comprendere come la pensano i figli su temi che sono uno spartiacque tra generazioni – ossia tra noi boomers e loro nativi digitali – mi porta a finire il sabato sera su google translator per tradurre al meglio ogni singola parola del paper ovviamente scritto in inglese. «Nel 2001 lo scrittore statunitense Marc Prensky ha utilizzato per la prima volta la definizione di nativi digitali per riferirsi a coloro che sono nati nell’era digitale che, utilizzando le tecnologie fin dall’infanzia, hanno sviluppato nuove connessioni neurali – scrive Tao –. Ciò li rende differenti nel modo di pensare e di apprendere».
Quelli che abbiamo di fronte, ci ricorda Prensky, sono figli madrelingua del linguaggio dei computer, dei videogiochi e di Internet. A seguire un’infinità di studi che Tao cita per dimostrare che tutti gli aspetti principali della vita dei nativi digitali – dalle amicizie alle attività del tempo libero – sono mediate dalle tecnologie: «Non conoscono altro modo di vivere». E, come dimostra l’esperienza di Kim, i nativi digitali sono estremamente creativi: «Il caso @ilragazzoconunpallone non è affatto l’unico – sottolinea Tao nel paper –. In ogni campo si vedono i nativi digitali farsi strada nel mondo con le proprie competenze e la propria creatività». La tesi è chiara: la conoscenza e la capacità di utilizzare al meglio le ultime innovazioni tecnologiche, social in primis, sono già decisive per il mercato del lavoro, e lo saranno sempre di più. «Il forum economico 2020 ha stilato un elenco delle 10 migliori competenze lavorative del 2025 e tre di queste sono «uso della tecnologia, monitoraggio e controllo», «Progettazione e programmazione tecnologica» e «Creatività, originalità e iniziativa»», argomenta Tao. Insomma, Le Parole dei figli, fanno vedere l’altro aspetto dei social: spingere la creatività che è un requisito indispensabile per farsi strada nel futuro. Ci vogliamo credere? Io voglio provarci.