Nella campagna per le elezioni presidenziali del 2016 le fabbriche di troll – più di 150 siti – attive nel produrre e diffondere fake news per favorire la candidatura di Donald Trump erano in Macedonia. Idem a giugno quando Facebook bannò il sito di estrema destra Natural News reo di diffondere teorie cospirazioniste sul coronavirus. Ora, nella campagna elettorale in corso, qualcuno si è fatto più furbo e ha creato una fabbrica di troll fatta in casa che opera più o meno alla luce del sole. Lo scoop è del «Washington Post».
Un tweet dice che i numeri del coronavirus sono stati intenzionalmente gonfiati ed è difficile decidere a cosa credere. Un altro invita a non credere al Dr. Fauci. Un commento su Fb sostiene che il voto per posta froderà le elezioni. Sono soltanto alcuni dei messaggi partiti dagli account di giovani profili in Arizona, uno degli stati contesi, che apparentemente esprimevano le loro opinioni in sostegno del Presidente Trump. In verità i post sono il prodotto di una campagna tentacolare e segreta che elude i paletti messi in campo dai social network per limitare la disinformazione e non ripetere lo stesso errore della campagna del 2016. Chi sono questi giovani? Sono degli adolescenti, alcuni di loro minorenni, assoldati e pagati dalla Turning Point Action per diffondere messaggi per conto dell’azienda. Tramite i loro account personali questi giovani hanno creato una campagna ad arte che nulla invidia alle dinamiche spam e al linguaggio caro ai bot e ai troll. Secondo Graham Brookie, direttore dell’Atlantic Council’s Digital Forensic Research Lab, questa scoperta è allarmante perché ci dice che la proporzione e i danni di questa disinformazione domestica sono enormi.
Dal canto suo il leader di Turning Point Action, il ventiseienne Charlie Kirk, sostiene che qualsiasi comparazione dell’operato della sua organizzazione con la fabbricazione di troll sia una grande inesattezza. Come si muovono i ragazzi, quali sono le istruzioni che ricevono? Copiano il linguaggio e i contenuti da un documento condiviso online. Postano le stesse righe un numero limitato di volte per evadere il rilevamento automatico da parte delle aziende tecnologiche. Ma non si muovono soltanto online. Quella che si definisce essere la più grande associazione di giovani attivisti d’America rivendica la sua presenza nei campus di oltre duemila college e scuole superiori. Ha anche una «Professor Watchlist» disegnata per tracciare chi in classe «discrimina studenti conservativi, promuove valori anti-americani e fa propaganda di sinistra». Trump loda il movimento e lo definisce un caso senza precedenti nella storia della nazione. Twitter intanto rimuove una ventina di account e specifica quali sono le sue regole «non si possono amplificare o alterare le conversazioni attraverso l’uso di account multipli. Questo include coordinare o ricompensare terzi coinvolti in un impegno artificiale anche se le persone coinvolte usano soltanto un account».
Dicono bene Guido Bosticco e Giovanni Battista Magnoli Bocchi quando nel loro volume uscito per Guerini Next Come i social hanno ucciso la comunicazione spiegano che Facebook e gli altri non sono più soltanto luoghi per la comunicazione personale ma spazi per la comunicazione professionale, aziendale, politica e istituzionale. Il saggio, cofirmato anche da altri autori, ci mette in guardia dai rischi che la visione di un mondo comunicazione-centrico porti con sé soprattutto se ci accontentiamo di vivere nell’universo social considerandolo come luogo eletto della comunicazione: «Da ciò discendono errori madornali, valutazioni scorrette e grandi gaffe, ma discendono anche una miriade di sotto-saperi che paiono innovativi e non lo sono». Il fatto è che tendiamo a ragionare per conferme secondo il meccanismo del confirmation bias, ci muoviamo all’interno della nostra zona di comfort, delle opinioni e delle idee in cui maggiormente ci riconosciamo. «A tutti noi piace chiuderci in quelle che sono state definite echo chamber» camere virtuali in cui risuona l’eco di ciò che vogliamo sentirci dire.
I social sono costruiti su misura per noi, intercettano i nostri umori, fanno leva sulla nostra emotività artificiale e chi conosce queste dinamiche le sfrutta per mettere a segno il proprio messaggio. Per invertire la rotta non ci resta che ripensare il nostro rapporto, costruire un nuovo paradigma di comunicazione e riappropriarci in maniera virtuosa degli spazi digitali.