«Smart» i cellulari e chi li controlla

/ 05.10.2020
di Ovidio Biffi

Squilla il cellulare. Cosa strana, visto che il numero è noto al massimo a dieci persone consapevoli che lo usiamo soprattutto per... caricarne le batterie (ormai introvabili: c’è ancora un sito su internet per acquistarle, con recapiti solo in Italia!). Usiamo una «prepagata» Budget di 60 fr. iniziali e dopo oltre 10 anni, senza altri versamenti, grazie a bonus in voga qualche anno fa e nonostante telefonate di arrivi e partenze in decine di città estere (anche dalla Thailandia), oggi sul conto abbiamo ancora 47 franchetti. Inutile dire che è un modello antico, di quelli che non ne costruiscono più. Lo squillo era per un SMS che ci comunicava che a fine anno il nostro cellulare non sarà più abilitato a ricevere e spedire... SMS, cioè messaggi. Scontato l’invito a voler approfittare di un nuovo e più performante modello. Roba normale, direte. Ma a poche primavere dagli 80, certi obblighi pesano come macigni, soprattutto quando comportano l’uso di nuove tecnologie. Di conseguenza squillo e messaggio di ultimatum suggeriscono anche alcune considerazioni.

Primo. L’etimo di «cellulare» deriva da «cellula» che in latino significa cameretta, scompartimento. Basta questo riferimento per correre subito con la mente al carcere, o quantomeno al controllo. L’enciclopedia Treccani dice che «cellula» si usa ormai solo nelle costruzioni navali, per indicare «ognuno dei piccoli scompartimenti nei quali è diviso il doppio fondo delle navi a scafo metallico, per ripartire l’acqua di zavorra e altri carichi liquidi, e per limitare l’estensione dell’allagamento interno in caso di falla d’acqua». Immaginando il cervello umano come scafo di milioni o miliardi di «imbarcazioni», non è difficile approdare a liquidi o zavorre digitali «ripartiti» da miliardi di cellulari per agevolare usi e controlli più o meno leciti.

Quello che in altri paesi viene definito «smartphone», cioè uno strumento di comunicazione intelligente, proprio per la sua struttura cellulare può tramutarsi in strumento di controllo: non esiste ostacolo se chi ha in mano le leve delle scelte (o esegue ordini o costrizioni aziendali, politici o criminali) decide di controllare quanto oggi le moderne tecnologie consentono. Un esercizio assai pericoloso se potrà continuare a beneficiare, oltre che della sudditanza psicologica della stragrande maggioranza degli utenti, anche dell’avallo quasi automatico di sistemi politici e istituzioni «bisognosi» di controlli e sorveglianza che solitamente riguardano rispetto di leggi, concorrenza commerciale, misure di sicurezza eccetera, ma che possono arrivare a perseguire interessi diversi da quelli pubblici.

Secondo. Come in tanti altri casi, la colpa finisce per ricadere su chi, pensando al futuro e alla necessità di non perdere contatti, invece di comportarsi da utente simile a migliaia di altri concittadini, resiste e si impegna perché sull’altare del progresso non vengano sacrificate anche esperienze e certezze del passato. È una responsabilità che non pratico solo per i cambiamenti imposti dalle moderne tecnologie, ma riguarda anche la difesa di un’esistenza «normale» (tra virgolette, perché ammetto che la mia normalità possa essere diversa da quella di altri consimili), in particolare di certi valori come la privacy o la sicurezza, evocate quasi ogni giorno perché stanno scomparendo ma che paradossalmente trovano sempre meno difensori.

Terzo. Ancora una volta mi spingo a stigmatizzare quella che io ho più volte descritto come tattica ricattatoria, sempre la medesima e anche sempre più penalizzante per le persone anziane e per quegli utenti che alla necessità di poter avere un telefono devono abbinare la difficoltà ad accollarsi altre gabelle mensili. Tattica attuata facendo ricorso ancora una volta allo stesso strumento: l’abolizione del servizio di messaggi (SMS). Era servita per imporre l’acquisto di un cellulare a chi aveva solo il telefono fisso, ora viene usata per obbligare chi ha i 2G a passare nuovi tipi di cellulare (ovviamente «smart», al prezzo di X centinaia di franchi e con la sottoscrizione di abbonamenti mensile che attenuano il salasso solo in teoria). In realtà gli spostamenti della messaggistica funzionano come una sorta di pesca a strascico che non contempla solo la telefonia: migliaia di «matusa tecnologici» vengono rastrellati, con obblighi e pagamenti sempre più coercitivi agevolati da digitalizzazione e informatica, anche verso il paradiso dei servizi finanziari.

Quarto. Figli, nipoti e amici, a cui espongo la vicenda suggeriscono miti consigli e di procedere al cambio di cellulare, preoccupati di futuri problemi di comunicazione più che del mio guerreggiare ormai in retroguardia. Provo a ribadire che la mia non è «opposizione cieca al progresso, ma opposizione al progresso cieco», ma mi accorgo di approdare al donchisciottesco. Saranno comunque parole di Miguel de Cervantes a consolarmi: «Ritirarsi non è scappare, e restare non è un’azione saggia, quando c’è più ragione di temere che di sperare».