Skippare più che una Parola dei figli ormai è il gesto con cui loro convivono. Dall’inglese to skip, il significato letterale del verbo è saltare. È facile sentirlo usare da chi ama gli inglesismi in contesti come skippare le pubblicità in un video; nello slang giovanile in frasi del tipo «Esci stasera?», «No, frà. Stasera skippo!»; oppure in situazioni come quando l’adolescente ha una montagna di roba da studiare e quindi decide di skippare i capitoli che gli sembrano irrilevanti, dopodiché invece la prof lo martella di brutto proprio sui capitoli che ha skippato; e ancora quando un amico parla ammorbando con un pippone e il teen che lo ascolta a un certo punto sbotta: «Oh skippa un po’ please!». Ma nell’epoca pane, YouTube e TikTok il termine si è trasformato soprattutto in un gesto in grado di condizionare il loro modo di informarsi, pensare e alla fine essere: è quello che i nostri figli fanno per saltare i contenuti social che non interessano. Basta fare un giro nei commenti sotto i video di YouTube per trovare il riferimento ai secondi di una o più scene ritenute importanti così che gli altri utenti possano cliccare e saltare direttamente lì; e basta scorrere sulla barra dei video per individuare qual è il momento più visto per guardare solo quello: vista la caduta libera della soglia di attenzione dei giovanissimi utenti, sempre più spinti a uno skip selvaggio, eccoli favoriti e accontentati! E su TikTok è tutto uno scrollo continuo: se un video non interessa è immediato il passaggio a quello successivo, ossia skippo e vado oltre.
Ne Il caffè delle mamme abbiamo raccontato più di una volta come funziona l’algoritmo del social più amato dai giovanissimi: chi lo usa non sceglie i contenuti da vedere, ma gli vengono sottoposti automaticamente con un meccanismo che agevola la visione di contenuti simili a quelli che ha visto. L’abbiamo definita «cassa di risonanza di un messaggio», per cui un contenuto iniziale giusto o sbagliato che sia, tende a richiamarne altri dello stesso tipo, che contribuiranno sempre più ad amplificare una visione univoca e acritica su quell’argomento. Ora a tutto questo aggiungiamoci lo skip: cosa può succedere al cervello dell’adolescente, che ha sempre in mano il cellulare, sottoposto a una serie di video uno dopo l’altro di contenuti simili già filtrati da un algoritmo, di cui lui a sua volta ne prende una pillola? Tutto avviene in pochi minuti, spesso addirittura secondi, che sommati però fanno ore di bombardamento di messaggi veloci e superficiali.
La mia giovane amica Erika Fuser, bravissima social media manager 25enne per un certo periodo in redazione con noi a «Dataroom» del «Corriere della Sera», quando un giorno le ho chiesto come fare arrivare le nostre inchieste ai giovani su Instagram mi ha risposto prendendo in mano il cellulare: «Devi pensare a come scrollano e skippano da un reel all’altro!». Non mi sono fatta esplodere perché ho due figli! Non è un caso che un punto di riferimento dei teen per informarsi sia l’account Instagram Will dove nel sottotitolo è scritto: «Per capire ciò che ci circonda (e fare un figurone a cena)». Video brevi, post con sintesi massima: così deve essere l’informazione per funzionare tra i giovani. Gli psicologi ci dicono che il risultato del business model dei social, basato sulla cattura spinta all’estremo dell’attenzione, porta a una minore capacità di concentrazione. Il giornalista d’inchiesta del «New York Times» Johann Hari nel nuovo libro Stolen Focus fa presente che gli studenti universitari ora si concentrano su un’attività per soli 65 secondi e riflette: «Pensate a qualsiasi cosa abbiate mai raggiunto nella vostra vita: quella cosa di cui siete orgogliosi ha richiesto un’enorme quantità di concentrazione che quando si rompe – e penso che ci siano prove convincenti che si sta rompendo – la tua capacità di raggiungere gli obiettivi si assottiglia e la tua capacità di risolvere i problemi è significativamente diminuita». Ora dare ai social e allo skip la colpa di tutto ciò sarebbe oltre che da boomer anche estremamente riduttivo. Ma certo è che, in un concorso di cause, il ruolo dello skippare continuo è innegabile. Anche se la battaglia contro tutto ciò mi sembra persa in partenza. Purtroppo.