Siamo ripiombati nell’incubo

/ 12.10.2020
di Aldo Cazzullo

Ci siamo. La seconda ondata è qui. In tutta Europa. I miei amici svizzeri mi dicono che la situazione nella Confederazione elvetica non è ancora così grave anche se si stanno prendendo misure sempre più restrittive anche qui. In Italia le nuove restrizioni sono state accolte con un misto di insofferenza e di rassegnazione. La paura cresce. I dati sono pessimi. Ma in Francia, nel Regno Unito, in Spagna sono decisamente peggiori. Avanziamo tutti in una terra incognita. L’autunno è appena cominciato. Ci attende un inverno durissimo, senza il vaccino, con gli ospedali pieni. E questa prova non ha una data finale.

Adesso l’importante è non perdere la testa, parlare poco e chiaro, individuare regole semplici e farle rispettare; e soprattutto evitare la guerra di tutti contro tutti, almeno quella che si delinea in Italia: governo contro Regioni, maggioranza contro opposizione, Pd contro Stelle.

Nei momenti più gravi della storia italiana, la forza morale e la capacità di resistenza del popolo hanno spesso dovuto sopperire all’inadeguatezza delle classi dirigenti. È accaduto durante le due guerre mondiali; meno nella Ricostruzione, quando gli sforzi degli italiani furono assecondati da una generazione politica che seppe unirsi per scrivere la Costituzione e poi, nella sua parte cattolica e liberale, compiere la scelta atlantica e reggere l’urto della Guerra fredda.

Anche quello che noi europei stiamo vivendo è un tornante della storia. La seconda ondata colpisce anche Regioni – come la Campania – dal sistema sanitario fragile, che la prima ondata aveva risparmiato. Le crisi da arginare sono due, strettamente collegate: quella sanitaria e quella economica. Si tratta di trovare norme di comportamento che evitino di sovraccaricare ospedali e terapie intensive, senza deprimere ulteriormente i consumi e di conseguenza la produzione e il lavoro.

Non è semplice. Ma alcune cose le abbiamo imparate. Il virus sarà meno letale, ma non è affatto «clinicamente morto»; anzi. Le mascherine servono: al chiuso e anche in caso di assembramenti all’aperto. I test rapidi sono necessari se vogliamo tenere aperte le scuole. Tracciare i contatti resta fondamentale, ma lo è anche mettere in sicurezza – ad esempio negli alberghi purtroppo vuoti di turisti – le persone positive al virus che non hanno bisogno di essere ricoverate, ma non possono neppure restare a casa a rischio di contagiare i familiari.

Soprattutto, è necessario costruire un clima di collaborazione. Già i virologi litigano di continuo, in tv e su Twitter. Ministri e amministratori dovrebbero proprio risparmiarci lo stesso spettacolo. Il voto regionale in Italia ha premiato la continuità: campani e pugliesi di destra hanno votato De Luca ed Emiliano; veneti e liguri di sinistra hanno votato Zaia e Toti; gli elettori hanno chiesto esperienza e protezione. Vale per l’opposizione, che dovrebbe respingere la tentazione di sottovalutare l’allarme e gridare al liberticidio per una mascherina. E vale per il governo, che sbaglierebbe a confondere il generico consenso dei sondaggi (in particolare per il premier) in una licenza in bianco a decretare per quattro mesi su ogni dettaglio.

Gli italiani, con le consuete eccezioni, hanno dimostrato maturità e senso di responsabilità. Se stavolta la classe politica sarà all’altezza di medici, infermieri, forze dell’ordine, operai, insegnanti e di tutti coloro che hanno tenuto vivo e fatto ripartire il Paese, allora lo spirito del 2020 sopravvivrà anche a un autunno che si annuncia durissimo.

La pandemia è piombata pure sulla campagna per le presidenziali americane. Sono sempre stato convinto che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarebbe stato Joe Biden. Ovviamente non si tratta di un auspicio, e neanche di una previsione, ma di una considerazione: fallace, come tutte le considerazioni. Quattro anni fa in America quasi nessuno – neppure il diretto interessato – pensava che Donald Trump potesse vincere le elezioni. Nel suo entourage lo credevano solo Steve Bannon, che lo sperava, e la moglie Melania, che lo temeva. Trump si era gettato nell’avventura con l’unico obiettivo che abbia guidato la sua vita: promuovere se stesso, il proprio nome, il proprio brand. Il clamoroso fallimento di Hillary Clinton, e la congiunzione astrale che gli ha consentito di vincere tutti gli Stati in bilico pur prendendo oltre tre milioni di voti popolari in meno, ha condotto alla Casa Bianca un candidato del tutto impreparato. Questo non vuol dire che Trump sia divenuto presidente per caso. Trump anzi è ben dentro il vento della storia: la rivolta contro l’establishment, le élites, le istituzioni, i vecchi partiti. Dopo il suo passaggio in politica, nulla sarà come prima.

Battere un presidente in carica è sempre molto difficile. E Biden non è certo un candidato brillante; inoltre oggi non può attaccare il presidente malato. Ma stavolta l’elettorato democratico sa che Trump può vincere. E si mobiliterà per evitare che ciò accada. Certo: con una pandemia in corso, tutto è ancora possibile.