Ho lasciato il titolo nella versione originale perché… perché è intraducibile. O meglio, lo è nella misura in cui, come peraltro molti neologismi americano-statunitensi, una volta tradotto in qualsiasi altro idioma suona strambo. Ci provo comunque e butto lì un’«attività squalifica» – o forse meglio «squaliera» piuttosto che «squalica»… mmmh… non facile costringere l’importante concetto in un flatus vocis. Sharktivity sta per shark activity ed è il nome neologistico di cos’altro se non una app sviluppata dall’Atlantic White Shark Conservancy, organizzazione votata «ad aiutare tanto la gente quanto gli Squali Bianchi a convivere pacificamente» (sic, ovvero testuale). L’area interessata è quella palestra di attività marine di natura ludico-sportiva che gravita attorno a Cape Cod, a Nord di New York, che sta agli States come Taormina sta ai Cisalpini e St. Moritz/San Murezzan ai Confederati, solo che lì si fa il boogie boarding che è – mi si dice – una sorta di surfing che potrebbe praticare con profitto atletico l’Altropologo. Se non fosse ahimè per gli Squali Bianchi – proprio loro. Sempre loro. E sempre in agguato. Per fortuna c’è il crowdsourcing – che non si traduce ma si spiega col dire che uno – che chiameremo X – è là fuori in acqua e intravede uno SB che si aggira torno a torno facendo finta di niente o magari col solo intento di farsi i fatti suoi. Allora X telefona alla app e comunica la posizione approssimativa (sì, perché non pretenderete mica che vada a prendere le coordinate sotto lo coda del Nostro) del Mostro. A sua volta Y, che sta per l’appunto bugibordingando in zona, estrae il telefonino dalla fondina e calcola col gps la propria longitudine e latitudine (che peraltro è impossibile da tenere a mente per più di dieci secondi quando si polleggia sulla costa di Rimini e immaginatevi quando è questione di vita o di squalo). Y la confronta poi con quella (stimata) del Mostro e, posto che a 50 km orari di velocità media lo stesso nel frattempo non ne abbia già fatto bistecca, decide se sia il caso o meno di continuare il bagnetto.
Il problema è che per la app son tutte cose serie. Prodiga di consigli, la prende inizialmente alla larga anche se in maniera un po’ perentoria: «L’unico modo per escludere completamente un incontro ravvicinato con uno Squalo Bianco è di starsene a terra». Che è, peraltro e volendo essere feroci, una balla: all’Acquario di Baltimora mi sono messo canino-contro-canino con uno Squalo Bianco a due centimetri di vetro temperato di distanza e col biglietto mi hanno anche dato un buono sconto per una pizza al bar che meglio lo squalo… Non si può non pensare che ci sia qui più di un’eco a quell’infamoso detto del Presidente T. Roosevelt «l’unico indiano buono che ho incontrato è un’indiano morto etc…». Però, una volta messe le cose in chiaro, la app prosegue in tono rassicurante informando che, nel 2017, di 88 attacchi di squali conosciuti al mondo solo cinque sono risultati mortali. E poi via alle statistiche della serie «L’abbiamo scampata bella». In principio si afferma che «comunque sia sono molti di più gli squali uccisi dall’Uomo che gli Uomini uccisi dagli squali» (A voi fa pensare? All’Altropologo francamente poco). E poi: ci sono molte più probabilità di lasciarci le penne cadendo dalle scale, per avvelenamento o in un incidente automobilistico o per condizioni meteo avverse. L’app si fa poi più «scientifica» e mirata alla clientela statunitense: gli americani (beati loro), hanno più chance di essere ammazzati da un colpo di fulmine che da una vacca impazzita. Al che aggiungerei che, per quanto riguarda gli Europei, ne hanno ancora meno di essere incornati da un Bisonte Europeo (800 esemplari circa fra Polonia e Bielorussia). Insomma, conclude l’app in questione, con la benedizione del Florida University Museum che mantiene un file sugli attacchi di squali, solo lo 0,00002 delle morti al mondo era nel 2017 attribuibile agli squali.
Le organizzazioni per la salvaguardia dello Squalo Bianco preferiscono l’espressione «Squalo Bianco» (SB) al «Grande Bianco/Great White» della tradizione per evitare implicazioni razziste (!) e promuovono l’espressione «incontro con lo squalo» piuttosto che «attacco dello squalo» per una sorta di par condicio. I lettori ormai d’antan di questa rubrica avranno compreso che, nel corso delle puntate, lo SB è divenuto un po’ come il CR7 per il calcio: paradigma di uno «sport» di massa (in questo caso quello che chiamammo già a suo tempo «lo sport della paura») nel quale chi meno lo pratica più si sente coinvolto. Domanda: non è che si viva in una società a rischio non di SB ma di infantilizzazione?