Serendipità

/ 18.04.2022
di Aldo Grasso

Serendipità: se cercassimo il significato su un qualsiasi dizionario troveremmo che il termine esprime la capacità (e la conseguente felicità) di fare scoperte casuali: trovare cioè qualcosa che non stavamo cercando – anzi cercavamo altro – avendo però gli strumenti per capire che ciò che abbiamo trovato è importante. Come accadeva ai principi di Serendippo (Ceylon, ora Sri Lanka), così come ce lo riferiscono le Mille e una notte, Horace Walpole e Voltaire in Zadig.

Quando Walpole, conte di Orford, inventò il termine serendipità, era il 1754, aveva in mente una fiaba persiana che, curiosamente, era giunta per la prima volta in Europa un paio di secoli prima attraverso una traduzione italiana di Cristoforo Armeno, che fu uno dei primi a portare da noi elementi importanti di cultura persiana e tradusse la fiaba (pare con una certa libertà) come Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo. Walpole, fornendo poi la ragione del conio «serendipity», spiegò che questi tre principi «facevano sempre scoperte, per caso o per sagacia, di cose che non stavano cercando».

Nella tradizione aneddotica tornano puntualmente alcuni esempi di scoperte casuali. Ne riporto alcuni, tanto per avere un’idea.

La scoperta dell’America. Forse il caso più importante di serendipità nella storia. Il 12 ottobre 1492, al grido «Terra!» dal marinaio Rodrigo de Triana, le tre caravelle spagnole guidate da Cristoforo Colombo arrivarono nel Nuovo Mondo. L’equipaggio era sicuro di aver raggiunto le Indie ed è per questo che Colombo ha chiamato i nativi d’America, indiani. I fiammiferi: nella Parigi del 1805, un certo Chancel notò che un bastoncino con all’apice pasta, a base di clorato di potassio, zolfo e gomma arabica, si accendeva per reazione chimica dopo essere stato immerso in un recipiente contenente una spugna d’amianto imbevuta di acido solforico. Era stata inventata la versione primitiva del fiammifero. Fu però solo nel 1827, che venne inventato il fiammifero a sfregamento, da parte dell’inglese John Walker, perfezionato, 3 anni dopo, con la sostituzione del solfuro di antimonio con una miscela di zolfo e fosforo bianco. La penicillina. Forse è la più importante scoperta «casuale» dell’umanità. Il risultato è stato attribuito ad Alexander Fleming, che ha lavorato nel campo della microbiologia o della farmacologia, riconoscendo il suo lavoro con il premio Nobel per la medicina nel 1945. Nel 1928, durante una delle sue indagini notò che in una delle piastrine con cui aveva lavorato e che si era dimenticato di eliminare, era stato coltivato un batterio chiamato Staphylococcus aureus. Ma, accanto, era cresciuto un fungo che ne paralizzava la crescita. Questo fungo, appartenente alla specie del penicillium, proveniva probabilmente da uno dei laboratori vicini, dove lavoravano per combattere certe allergie. 

Come ben spiega Telmo Piovani nel suo ultimo libro Serendipità. L’inatteso nella scienza (Raffaello Cortina Editore), le più sorprendenti storie di serendipità svelano aspetti profondi della logica della scoperta scientifica. Non è solo fortuna: la serendipità nasce da un intreccio di astuzia e curiosità, di sagacia, immaginazione e accidenti colti al volo. La serendipità, soprattutto, ci svela che non sapevamo di non sapere. Per esempio, la scoperta di cose inattese è retta dal principio dell’abduzione, lo stesso usato da Sherlock Holmes nelle sue famose indagini.

Il filosofo Robert K. Merton ha definito in ambito sociologico il concetto di Serendipity come l’esperienza che permette di sviluppare una nuova teoria o ampliarne una già esistente sulla base dell’osservazione di un dato imprevisto («una ricerca diretta alla verifica di una ipotesi dà luogo a un sottoprodotto fortuito, a una osservazione inattesa che ha incidenza rispetto a teorie che, all’inizio della ricerca, non erano in questione») o anomalo («l’osservazione è anomala, sorprendente, perché sembra incongruente rispetto alla teoria prevalente, o rispetto a fatti già stabiliti») o strategico («affermando che il fatto imprevisto deve essere strategico, cioè deve avere implicazioni che incidono sulla teoria generalizzata»).

Non dobbiamo quindi temere né gli imprevisti né le anomalie: da un inciampo casuale potremmo fare nuove scoperte, se non per l’umanità almeno per la nostra vita di tutti i giorni.