L’ultimo libro di Anne Applebaum si apre con una festa: capodanno 1999, campagna polacca, casa di famiglia, élite anti comunista e liberale che celebra il nuovo millennio. Oggi, vent’anni dopo, scrive la scrittrice e storica – il suo libro più famoso è Gulag, imprescindibile – che le è capitato di attraversare la strada per non doversi imbattere in alcuni dei suoi ospiti di allora, per non doverli salutare, per non dover incrociare gli sguardi: non c’è più nulla da dirsi, nulla in comune. Twilight of democracy, il crepuscolo della democrazia, così s’intitola il libro, è la storia di come è cambiato il pensiero conservatore dal 1999 a oggi, in Europa – nell’est soprattutto, che Applebaum conosce molto bene: suo marito è l’ex ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski – e negli Stati Uniti.
Ma la saggista americana non ci porta soltanto attraverso i suoi luoghi, i suoi riferimenti culturali e politici – a pranzo con Boris Johnson anche, l’attuale primo ministro britannico – e i media in cui ha lavorato, ci porta a contare i suoi amici, a vedere chi è rimasto e chi invece oggi non risponde nemmeno alle email, figurarsi a un invito a una festa. Il presupposto della Applebaum è chiaro: io sono rimasta com’eravamo, una conservatrice liberale, voi siete cambiati. E questi sguardi che non si possono più incrociare sono la spiegazione migliore della trasformazione del mondo conservatore che ha portato a sostenere leader che tradiscono il senso tradizionale del conservatorismo, e soprattutto che tradiscono il liberalismo con l’unica variante possibile: il suo contrario, l’illiberalismo.
La Applebaum va a caccia dei colpevoli, ripete spesso che il suo racconto è «politico, non personale» anche se si vede che soffre quando si ritrova a pranzo con una sua ex cara amica ungherese, madrina di uno dei suoi figli, dopo tanti anni di silenzio, e l’amica mette in mezzo tra loro un registratore: è lavoro, non è amicizia (e infatti poi quella conversazione finirà su un media filogovernativo in Ungheria e la Applebaum ne uscirà male).
Da ultimo, il lavoro della saggista si è concentrato molto sulla trasformazione degli intellettuali, e sul loro tradimento. Lo dimostra un articolo che è stato pubblicato sull’«Atlantic» di recente e che si intitolava Collaborators: era un’indagine attenta, dolorosa (perché quello è il mondo della Applebaum) e implacabile sul Partito repubblicano americano e sul suo rapporto con Trump. Senza il sostegno del suo partito, Trump non sarebbe sopravvissuto all’impeachment, per esempio, ma senza arrivare a questo, se i repubblicani avessero cercato di attivare almeno un contenimento del presidente, probabilmente lui non si sarebbe spinto tanto in là. Invece i repubblicani, per calcolo o per ideologia, hanno lasciato che Trump andasse dove voleva andare, e soltanto adesso che i sondaggi lo danno in difficoltà iniziano a valutare l’ipotesi di emanciparsi da un presidente che ha preso in ostaggio il suo stesso partito.
La democrazia non sarebbe in sofferenza – al crepuscolo, scrive la Applebaum, in modo molto cupo – se gli intellettuali d’occidente non avessero tradito il loro mandato, la loro ricerca della verità, per «ridursi a inseguire un’unica causa», spesso una persona e un gruppo di potere. Che cosa ha portato queste persone – intelligenti, studiose: i suoi amici – a sostenere questo nuovo autoritarismo? «Risentimento, vendetta e invidia» sono parte della risposta. Un’altra parte è «nostalgia», quello che la Applebaum definisce «sconforto culturale» che porta a vagheggiare un tempo passato in cui c’erano invece fiducia e ottimismo. Uno dei personaggi simboli di questo atteggiamento è Laura Ingraham, oggi star di Fox News trumpianissima, quindici anni fa invitata a una festa cui c’era anche la Applebaum: la Ingraham è la sintesi di quello che tiene insieme i trumpiani, una certa idea di America «bianca, cristiana, in cui la terra va difesa con i muri».
Ci sarà una restaurazione, una resa dei conti? La Applebaum non è molto ottimista, ma chiude il suo libro su un’altra festa, sempre in Polonia, l’estate scorsa. Ci sono anche gli amici dei figli diventati grandi, non ci sono più tantissimi invitati del 1999, ma ci sono gli amici del 2019, i conservatori liberali rimasti. E l’occhio cupo della Applebaum si rillumina: questa non è la notte degli anni Venti e Trenta del Novecento, possiamo votarli tutti via questi leader autoritari, non rassegniamoci al buio.