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Sentirsi attivi senza un lavoro retribuito

/ 28.08.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Non so nemmeno da dove iniziare.
Buongiorno cara Silvia. È un buon inizio credo.
Ho quasi 50 anni, 20 dei quali passati a fare la mamma di tre incredibili ragazzi. Nonostante i miei innumerevoli errori, sono ora persone che hanno trovato il senso della loro vita e mi stupisco ogni giorno della fortuna che ho avuto. Ma ora sono qui. Un po’ persa. È da molto tempo che osservo questa mia vita che sembra essersi assottigliata, un po’ timorosa di farsi vedere, di uscire a guardare il mondo che vive.

Non lavoro da 20 anni. Da 20 anni non porto uno stipendio a casa. Da 20 anni mi porto dentro il senso di colpa. Ieri mi sono sentita dire da mio marito che non mi aiuta nei lavori di casa o in giardino o qualsiasi cosa riguardi la casa perché non lavoro e questo è il mio compito. Lui ha il suo lavoro fuori casa. Io il mio. Ora mi trovo ferita e confusa. Vorrei trovare un lavoro fuori casa pur di non sentirmi più dire queste cose. Ma non è facile. Ho paura. Mi sento immersa nell’acqua in balía delle onde mentre guardo mio marito che rema tranquillo sulla sua barca. E non so dove sta andando. Un abbraccio. / Serena

Cara Serena, 
suo marito conserva, fuori tempo massimo, una visione del mondo in generale e del matrimonio in particolare che ha funzionato per secoli. Sino agli anni Sessanta la formula: lui lavora fuori casa e mantiene la famiglia, lei sta a casa, cresce i figli e si occupa dell’amministrazione domestica, sembrava il modo migliore di vivere insieme. Ma quasi all’improvviso, nel decennio successivo, quel modello incomincia a presentare delle crepe.

Nell’economia post moderna, un solo stipendio inizia a risultare insufficiente e le giovani donne, acculturate come non era mai successo prima, ambiscono a una esistenza più ricca e articolata, capace di rispondere alle loro potenzialità e alle loro aspettative. 

Ma nella vita non esiste una ricetta valida per tutti. L’ideale sarebbe poter scegliere la soluzione più adeguata ai propri desideri. E mi sembra che la possibilità di crescere i figli con la massima disponibilità sia stata, nel suo caso, un’ottima soluzione. Molte donne che lavorano riconoscono, con dolore, che il tempo concesso ai figli è insufficiente e vorrebbero vivere come lei. 

Solo adesso infatti, quando è subentrata la fase del «nido vuoto», sente il bisogno di uscire di casa e di svolgere una occupazione retribuita. Comprendo questa nuova esigenza ma non vorrei che fosse indotta dall’atteggiamento sprezzante di suo marito. Le vere motivazioni nascono dentro di noi, non per reazioni alle accuse altrui.

Probabilmente anche suo marito sta affrontando un momento di crisi. Non sentendosi più indispensabile come padre, vorrebbe ottenere un riconoscimento per tutto quello che ha fatto in precedenza per lei e per i vostri figli. Purtroppo il sesso forte è affettivamente il più debole: non sa accettare la propria fragilità, esprimere i propri desideri, chiedere aiuto e conforto.

Ma non credo che suo marito intenda ferirla, le sue recriminazioni esprimono piuttosto un crollo della sua autostima e un bisogno di valorizzazione.

Fermatevi un momento a riflettere sulla stagione della vita che state attraversando. Se guardate indietro vedrete gli ottimi risultati raggiunti nel crescere tre ragazzi forti e sereni. Se guardate avanti scoprirete con meraviglia che vi attendono tante possibilità. La libertà che ha raggiunto le offre una seconda giovinezza. Per sentirsi attivi non è necessario un lavoro retribuito. Probabilmente gli impegni familiari l’hanno costretta per molti anni a rimandare viaggi, interessi culturali, sport, incontri con le amiche. Perché non recuperare il tempo perduto, le occasioni accantonate?

Tra le varie possibilità di autorealizzazione porrei anche il volontariato. Non c’è niente di meglio che aiutare gli altri per aiutare se stessi. 

Pensi infine che, in futuro, il pensionamento di suo marito vi consentirà di fare molte cose insieme. Vi attendono esperienze avvincenti, da progettare e preparare sin d’ora. 

Come scrive Oscar Wilde: «se la felicità fosse un palazzo, la stanza più grande sarebbe la sala d’attesa». Una sala in cui proietterei anche i nipoti che verranno. La «nonnità» è una promessa di gioia che non si può pretendere ma che vale la pena di attendere. Se il passato è una narrazione, il futuro è un sogno da svegli. Non manchi questa risorsa.