Sempre più in fretta

/ 14.11.2016
di Franco Zambelloni

La vita che ci è data è abbastanza lunga e disponiamo dunque del tempo necessario per apprezzarla e viverla adeguatamente; ma quando accade di dissipare i giorni nell’inerzia o nella fretta, ci si rende poi conto che quella vita, che non ci siamo accorti che passava, è ormai trascorsa. Non sono pensieri miei: sono riflessioni che Seneca annotava scrivendo della Brevità della vita. Si era intorno all’anno 50 d.C.: cosa scriverebbe adesso, se fosse confrontato con i ritmi e con la dispersione del nostro vivere quotidiano?

Al tempo di Seneca e fino alla fine dell’Ottocento quella vita «abbastanza lunga» che ci era data si aggirava intorno ai cinquant’anni: tale è stata, per lo più, la speranza di vita per la quasi totalità della nostra storia. Oggi tale limite si è spostato al di là degli ottant’anni; e c’è chi prevede che, grazie alla manipolazione cellulare e genetica e alle nanotecnologie, si potrà giungere fino a 180 anni e oltre. E però, paradossalmente, mentre la vita si allunga il tempo si accorcia.

È colpa dell’accelerazione dei ritmi esistenziali propria della nostra epoca e lamentata da molti studiosi. Uno di questi, Hartmut Rosa, docente di Scienze politiche a Jena, attribuisce la nuova celerità del tempo ad alcuni fattori, il primo dei quali è la tecnologia. È indubbio che la tecnologia dei mezzi di trasporto punta ad una velocità sempre crescente. Così lo spazio si contrae e il tempo si riempie di una miriade di eventi: se un pellegrino per giungere da Calais a Roma, nei primi secoli dopo il Mille, ci metteva almeno un paio di mesi, oggi lo stesso viaggio si può fare in poche ore. Ma probabilmente il riscontro emotivo è assai meno intenso: la lunghezza del viaggio, l’attesa, la lentezza, le fatiche e i pericoli rendevano significativa la meta; con il va e vieni in giornata non è la stessa cosa. 

Ma sono soprattutto le nuove tecnologie della comunicazione a rattrappire il tempo. Si rimbalza di continuo da un messaggino all’altro; c’è chi va per la strada «messaggiando» freneticamente sul cellulare, magari non senza rischio, perché fissare la tastiera e il monitor sembra più importante che guardare dove si va a sbattere. Siamo inondati di notizie, di immagini e di commenti – e tanta sovrabbondanza si affloscia nell’indifferenza. Che strada hai fatto venendo qui? Hai visto le belle foto appena esposte nella piazza? No, non le ha viste. Ma non importa, rimedia: tira fuori il cellulare e comincia a digitare e dopo un po’ mostra, trionfante, le foto che avrebbe potuto vedere dal vero se avesse guardato dove andava. 

Ripensiamo al passato. Nell’antica Roma un detto ammoniva: «Festina lente» – affrettati lentamente. Sembra una contraddizione, ma non lo è; si potrebbe tradurre: «Fai quel che devi fare e fallo subito, ma con calma». Nella Roma di Cicerone questo poteva essere un buon consiglio, ma a quel tempo le cose da fare non erano troppe; oggi gli impegni e i divertimenti sono talmente tanti che bisogna spicciarsi per farceli stare tutti. Se si paragona quel che facevano i nostri nonni nel corso di una giornata a quel che facciamo noi, ci si rende conto di quanto siano sovraffollati i nostri giorni.

E poi, a far sentire la contrazione del tempo, ci sono i cambiamenti sociali in continua e rapida successione. «Innovazione» è ormai la parola dominante. Tutto deve cambiare, in meglio e in fretta: la moda, le regole civili, il linguaggio, gli strumenti tecnologici, le prescrizioni salutistiche, la popolarità dei personaggi televisivi che emergono e tramontano rapidamente… Non c’è più nulla, ormai, di stabile e abbastanza duraturo. E, se ripenso agli ultimi decenni, ne traggo la netta impressione che la spinta d’accelerazione aumenti il suo ritmo in un crescendo rossiniano. 

Così, chi ha raggiunto le soglie della vecchiaia e guarda al passato, ha l’impressione di scrutare in un altro mondo, che svanisce. Per molti versi, quello d’oggi è un mondo migliore, per comodità, salute, libertà, sicurezza sociale, speranza di vita: tutte condizioni che potrebbero fare di un lungo percorso esistenziale una vita pienamente vissuta, se assaporata con quel calmo andare nel tempo che una volta era possibile. Seneca, per tornare a lui, dava un consiglio che ancor oggi non ha perso di valore: «Pensa sempre quale vita vuoi, non quanta». E di chi non era giunto a questa saggezza, diceva: «Non è vissuto a lungo, ma è stato al mondo a lungo». Il consiglio è sempre buono; seguirlo oggi è più difficile.