Se siete felici, fateci caso

/ 17.10.2016
di Natascha Fioretti

Vi capita mai di vivere qualcosa di bello, bello, addirittura sopra le aspettative (non è facile da adulti) e poi arrabbiarvi perché quel momento, la magia di quel momento non riuscite a trattenerla neanche per un attimo, subito viene seppellita dalle mille cose da fare ma soprattutto dal pensiero già rivolto al futuro in attesa di nuove indimenticabili emozioni?

A me è successo di recente e mi sono arrabbiata, e molto, con me stessa per l’incapacità di fermarmi, di assaporare, e perché no, di rimanere per un attimo ancorata a qualcosa che è stato anziché farmi prendere dalla frenesia di ciò che deve venire. E ho iniziato a riflettere sul fatto che poniamo sempre l’attenzione sulle nostre invidiabili capacità di essere velocissimi, multitasking e organizzatissimi in tutto. Ma se poi non riusciamo a goderci il risultato, quello che creiamo per via della frenesia, dell’ansia del tutto sempre bello, sempre al massimo, per cosa corriamo esattamente? Per un secondo di gloria e tutto il resto è niente? Non possiamo trovare un equilibrio, decidere di rallentare un po’? 

Solo perché la tecnologia e i mezzi di trasporto e comunicazione ce lo permettono non significa che abbiamo l’obbligo di correre sempre, presenti ad ogni evento e in forma smagliante. Forse dovremmo fermarci a riflettere un attimo, rimettere in ordine le nostre priorità, fare – nel mare magnum di opportunità in cui siamo immersi – una selezione di ciò che per noi davvero è importante e vogliamo coltivare, perseguire, conquistare. Fare delle scelte che possano influire sulla qualità della nostra vita e dei nostri affetti, delle nostre relazioni. Forse dovremmo permetterci ogni tanto di essere anche brutti, spettinati, lenti, senza idee e darci il tempo di perdere tempo, ricordare, correggere il tiro, senza pensare alle nuove corse che ci attendono. 

Non è facile, mi rendo conto, perché oggi non sei bravo se non sei veloce, sempre sul pezzo, sempre attento e informato su tutto, ma non trovo sia una conquista il fatto che non riusciamo a dare il giusto tempo, attenzione, valore, soprattutto la profondità, alle cose belle che ci accadono. Anche essere profondi è importante e non lo si può essere in velocità, le illuminazioni ci vengono in un attimo ma per poterle davvero cogliere, per andare a fondo delle cose, di ciò che accade, sentiamo, ci vogliono lentezza, concentrazione, applicazione, tensione e costanza. Facoltà di cui oggi, temo, siamo sempre più sprovvisti, impazienti come siamo di raggiungere e raccogliere più obiettivi possibili. 

In questo nostro essere schizofrenici la tecnologia e i social ci appoggiano, mentre non aiutano quello che in tedesco si chiama «verweilen», trattenersi, indugiare su qualcosa. Eppure di questo abbiamo bisogno, altrimenti le nostre azioni e il nostro relazionarci saranno sempre più poveri, senza sostanza e senza coscienza. E, per essere profondi, abbiamo bisogno anche delle delusioni, abbiamo bisogno di perdere qualche volta.

Lo so, è un bel dilemma perché nell’era dell’iperconnessione le delusioni davvero non sono benvenute, anzi, potendo, le bandiremmo. Per questo quando arrivano ci colgono sempre più impreparati. Ma allora com’è che oggi siamo così bravi e lesti a mettere in vetrina le nostre prodezze ma poi a vivere, vivere veramente facciamo fatica? Non sarà ancora una volta colpa della tecnologia? Certo, tra le tante cose essa ci aiuta a semplificare, a ridurre tempi e distanze ma poi sta a noi non perdere il nostro centro, il nostro tempo umano scandito dalle emozioni e dagli stati d’animo che sono davvero poco comprimibili e soprattutto prevedibili. 

Per quanto mi riguarda, dopo essermi arrabbiata con me stessa, ho deciso di provarci a rallentare e mettere a fuoco ciò che davvero conta e per cui vale davvero la pena correre ma anche fermarsi a riflettere e ad assaporare. Dunque, se sarò felice, ci farò caso. Fatelo anche voi, funziona senza Whatsapp e senza Facebook.