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Se le regole diventano ossessioni

/ 21.02.2022
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
non ci conosciamo, non ci siamo mai incontrate ma sono una collega. Ho letto quasi tutti i libri che ha scritto e ogni tanto li consulto. Ma ora mi rivolgo direttamente a lei perché sono in crisi e nessuno, come sappiamo, è terapeuta di se stesso e dei suoi cari.
Sposata, due figli maschi, Filippo di 13 anni e Michele di 11, un lavoro che amo (psicoterapeuta per la coppia e la famiglia), una vita familiare serena. Solo recentemente, dall’inizio dell’anno scolastico, il minore dei ragazzi, Michele, timido e introverso, sta esagerando in gesti, che per se stessi sarebbero normali, anzi auspicabili, ma ripetuti con accanimento diventano nocivi. Mi spiego meglio. I ragazzi arrivano insieme a casa per pranzo, quando tutto è pronto (siamo molto precisi) per essere portato in tavola. Ma, mentre Filippo si precipita a tavola con la voracità dei suoi tredici anni, il fratello si chiude in bagno e rimane a lavarsi le mani per più di venti minuti. Lo chiamiamo, lo supplichiamo, lo sgridiamo, cerchiamo di ingolosirlo con la descrizione delle bontà che lo attendono, ma non c’è niente da fare. Si sente il rubinetto che scoscia e quando finalmente esce ha le mani arrossate e le unghie un po’ consumate.
So che è una forma di ossessività, una rupofobia provocata anche dalle martellanti richieste di igiene indotte dal Coronavirus. Ma forse non è solo questo e, senza dirle le mie ipotesi, vorrei conoscere le sue. Grazie./
 Virginia

Cara Collega,
difficile parlare di una persona senza conoscerla. Ma cerchiamo di considerare il problema di Michele in generale e di comprenderlo senza alcuna pretesa di curarlo. Intanto c’è nella lettera che mi ha inviato un’annotazione brevissima ma significativa: «siamo molto precisi». Probabilmente la precisione non riguarda solo i tempi del pranzo ma immagino rispecchi l’arredamento, le azioni quotidiane e le relazioni familiari. In questo quadro di perfezione è facile che qualcuno, di solito il più fragile, si senta inadeguato.

Michele, come secondogenito, ha dovuto sin dall’infanzia misurarsi con la superiorità del fratello più grande. Di fronte alle abilità di Filippo deve essersi sentito inadeguato, incapace di raggiungere quell’ideale. Spesso la relazione tra due maschi inizia con conflitti, litigi, dispetti e ripicche e si conclude solo quando è chiaro chi comanda. Invece il carattere timido di Michele deve averlo sconsigliato di affrontare il rivale in una competizione aperta, preferendo chiudersi in se stesso e confrontarsi con una impossibile perfezione. In questa forma di autogestione, si è dato delle regole e sin qui niente di male ma queste regole prive di relazione e di confronto, in un momento di difficoltà come quello che stiamo attraversando, gli sono sfuggite di mano provocando comportamenti ossessivi.

Certo Michele non è consapevole di essere preso in un ingranaggio che non controlla, ma la ripetizione è un rito e il rito svolge sempre un’azione protettiva e consolatoria. Come riconosce Franco Maiullari, neuropsichiatra, psicoterapeuta e letterato di fama internazionale, nel suo ultimo libro Esploratori di ossessioni, ed. S. Paolo, l’ossessività è un tratto caratteristico dell’umanità. Da sempre, quando ci sentiamo fragili e vulnerabili di fronte a una natura ostile e minacciosa, chiediamo soccorso a rituali magici. È un modo per evocare, con l’immaginazione, l’onnipotenza della prima infanzia. Prevedo che, quando la pandemia sarà debellata e cesserà questo clima di sospetto e di paura, anche le ossessioni diminuiranno. Per ora però Michele ha bisogno di trovare autostima, fiducia in se stesso mettendosi alla prova nella realtà. Oltre che nella famiglia e nella scuola potrebbe, a seconda delle sue inclinazioni, trovare sostegno nell’esercitare uno sport, come le arti marziali, competitivo ma non troppo, muscolare senza essere violento, libero di esprimere pulsioni ed emozioni all’interno di un sistema di regole esplicite e condivise. Non so, cara collega, se ho aggiunto qualche cosa alla sua diagnosi, ma l’importante è aprirsi al dialogo e qui, in questa Stanza, non facciamo altro. Grazie a nome di tutti i lettori.