Proliferano gli interventi e le iniziative – conferenze, convegni, servizi giornalistici – sul volto che sta assumendo il cantone dopo l’apertura della galleria ferroviaria di base del Ceneri, snodo della «città Ticino», nel triangolo Locarno-Bellinzona-Lugano e da qui verso il vertice Mendrisio-Chiasso, porta d’accesso all’area metropolitana lombarda. La riflessione ruota intorno all’accelerazione che la rete TiLo ha reso possibile, abbattendo i tempi di percorrenza tra i poli suddetti. Benché ancora incompleta e qui e là smagliata, specie dopo la stazione luganese, la rete permette di catapultare il cantone nell’era dell’interconnessioni veloci, abolendo tempi morti, ritardi e snervanti incolonnamenti.
Ma tutto questo non è una semplice rivoluzione dei trasporti. Ogni innovazione, ogni trasformazione delle infrastrutture materiali genera infatti una serie di onde sismiche destinate ad investire tutti i gangli della società, a partire, ovviamente, dall’organizzazione territoriale e insediativa. Simili processi maturano lentamente, ma in parte sono già visibili. D’altronde possiamo rifarci ai precedenti storici. Pensiamo al ruolo svolto dalla Ferrovia del Gottardo, sul finire dell’Ottocento, nel ridare ossigeno all’asfittica economia cantonale, rinchiusa tra due barriere, quella fisica a nord e quella politica a sud. Sorse in quell’epoca l’«industria dei forestieri», con i suoi grandi alberghi, le linee tranviarie, le funicolari, la navigazione sul Ceresio e il Verbano. Meno lineari furono invece, un secolo dopo, le ripercussioni dell’autostrada, che – certo – hanno favorito la mobilità interna, ma anche ridotto la regione a corridoio di transito dell’autotrasporto europeo. Disagi e situazioni prossime al collasso sono ormai all’ordine del giorno nelle zone più popolate o attraversate dalle principali arterie.
Scompensi a parte, l’incremento delle vie di comunicazione, su ferro e su gomma, ha comunque permesso al cantone di rimanere agganciato alla linea ascendente dei paesi che lo circondano. Uno sviluppo economico-commerciale, in primo luogo, ma anche demografico, sociale e culturale, che sarebbe rimasto allo stato rachitico se le autorità del tempo avessero tentennato o procrastinato le scelte. Privi di un’ossatura stradale e ferroviaria efficiente, i borghi del cantone non sarebbero mai assurti alla dignità di città in grado di competere, per mezzo delle loro offerte ricreative e culturali, con agglomerati urbani di ben altro blasone. È bene tuttavia precisare che la costante e capillare espansione delle infrastrutture viarie non ha sempre innescato un parallelo progresso negli altri campi.
In primis in quello demografico, argomento oggi al centro del dibattito. La questione del calo delle nascite e della stagnazione afflisse il cantone già dopo la prima guerra mondiale. Nella terza edizione (1938) del loro testo-atlante La Svizzera destinato alle scuole maggiori e ginnasiali, Giacomo Gemnetti (professore di geografia alla Commercio di Bellinzona) e Achille Pedroli (docente di didattica alla Normale di Locarno) osservarono, allarmati, il calo delle nascite: «La diminuzione delle natalità è molto accentuata in Isvizzera. In Europa, solo la Francia, l’Inghilterra ed il Belgio accusano questo fenomeno in misura eguale alla nostra, e la cosa è più triste, in quanto la Svizzera è sempre stato un paese di forte natalità. Questa piaga veramente moderna si manifesta particolarmente nelle regioni industriali e nelle città. Nel mentre, per esempio nel 1901 si registravano 29 nascite per ogni mille abitanti, nel 1936 se ne registrarono solo 15,6».
Allora gli autori addossarono la colpa alla modernità, in particolare ai processi di inurbamento delle popolazioni rurali. Oggi gli studiosi pongono l’accento su una molteplicità di concause, che considera, accanto alle motivazioni classiche (livello retributivo, possibilità di carriera, riconoscimento delle proprie capacità), anche elementi extra-economici, come la formazione plurilingue dei figli o l’opportunità di usufruire di una più vasta proposta culturale (teatro musei concerti cinema). Nonostante gli enormi passi compiuti negli ultimi decenni, specie nel settore della formazione con in testa il sistema USI-SUPSI, il Ticino è reputato da molti giovani ancora troppo chiuso e meschino, ancora troppo condizionato dalle appartenenze ai partiti e alle «grandi famiglie». Ritengono insomma di poter respirare un’aria più libera altrove, non inquinata da logiche estranee all’unica categoria che a loro giudizio conta davvero, quella del merito.
Se le gallerie non bastano
/ 13.09.2021
di Orazio Martinetti
di Orazio Martinetti