Se la Svizzera notturna chiude

/ 16.11.2020
di Luciana Caglio

Effetto paradossale del Covid 19. Mentre discoteche, pianobar, cabaret, scuole di danza chiudono e teatri, cinema, sale da concerto sfoltiscono il pubblico sino all’inverosimile (in Ticino 50, o 5, o 30 spettatori, secondo i mutevoli umori delle autorità), si scopre un altro volto del Paese. Quello di una vitalità notturna, addirittura da primato. Che spetta a Zurigo: stando alle statistiche, sarebbe la metropoli europea con la più alta diffusione di club notturni, ben funzionanti e redditizi. Insomma, un bel cambiamento d’immagine nel giro di qualche decennio: da capitale della finanza, severa e stakanovista, a città che coltiva l’arte del divertimento in un’atmosfera rilassata, vagamente mediterranea. In verità, il fenomeno ha alle spalle una tradizione illustre, che risale al 1916, quando il Cabaret Voltaire diventò la culla delle avanguardie artistiche e politiche europee, fra cui il movimento Dada.

Tempi lontani e irripetibili: il panorama della Zurigo notturna di oggi non riflette più i talenti di una creatività elitaria, bensì le proposte di un’industria dello svago rivolte al grande pubblico. Come dire, a una collettività sempre più composita, per origini, abitudini e culture. È indicativo, in proposito, il «caso Salsa», la scuola di danza sudamericana, frequentata da numerosi «latinos», residenti nella città della Limmat. Nei suoi locali è scoppiato quel fatale focolaio d’infezione che doveva provocare il divieto concernente «i balli che implicano stretto contatto corporeo». Poi esteso a ogni tipo di danza, e, infine, alla chiusura generale dei luoghi d’incontro a titolo di svago.

Proprio questa decisione ha scatenato un’incessante ondata di reazioni improntate non soltanto alla protesta, da parte dei diretti interessati, addetti ai lavori nel mondo dello spettacolo o ribelli per vocazione. I sipari calati e le platee vuote hanno fatto scandalo, nel senso positivo del termine. Mobilitando esponenti degli ambiti professionali e ideologici più diversi, accomunati da disorientamento e incredulità nei confronti di un provvedimento che spegne le luci della ribalta. E lo confermano i commenti comparsi sui giornali, in particolare sulla «NZZ», che certo non strizza l’occhio al ribellismo e al vittimismo degli eterni malcontenti. Ma, questa volta, da storica testata, registra gli umori della città toccata sul vivo di un operante attivismo. I titoli parlano chiaro: «Lo svago ultimo a morire». «Prima la cultura, poi la gola», «Indispensabile divertirsi». E via dicendo.

Pandemia a parte, viene alla luce un insospettato orgoglio cittadino, con cui rivendicare una prerogativa locale e addirittura nazionale, destinata, non da ultimo, a smentire un giudizio, o pregiudizio, che grava sulla fama della Svizzera: paese noioso. Dove «la gente è immersa nel torpore e nella monotonia», come scriveva il giornalista Carlo Rossella su «Panorama», raccontando la sua Zurigo, visitata negli anni 90. Anche l’urbanista milanese Stefano Boeri, commentando sul «Sole 24 Ore» la graduatoria della vivibilità urbana, che aveva premiato Ginevra e Berna, dichiarava: «Città dove io non potrei mai vivere», rischiando d’imbattersi in gente «noiosa, calcolatrice, egoista…».

Proprio la noia sembra l’attributo più confacente alla realtà elvetica. Secondo una valutazione americana, persino il nostro parlamento federale sarebbe il più noioso del mondo. C’è anche del vero in questi giudizi, per altro scontati. E, se hanno ragione gli zurighesi a vantare la vivacità, adesso sospesa, delle loro notti, corrono però il rischio di cedere alla tentazione di un patriottismo, che va di moda. «Siamo i più bravi» è il ritornello del momento, alludendo alla lotta contro il virus. Ora, se non lo siamo sul piano sanitario e scientifico, dove la Svizzera sembrava quotata, figurarsi su quello del divertimento o del cosiddetto ozio creativo.

In altre parole, Zurigo non può competere con Montmartre, Carnaby Street, Time Square e neppure con la piazzetta di Capri o le ramblas di Barcellona, luoghi che assicurano una botta di vita, momentanea.

Mentre con la noia, sinonimo di tranquillità, di silenzio, di solitudine si può convivere. Sempre che, come invece sta succedendo, non ci venga imposta alla stregua di una rinuncia. Utile e virtuosa?