Se il giornalismo scende in campo per il clima

/ 28.10.2019
di Natascha Fioretti

Come ho scritto più volte in questa rubrica le testate che oggi non solo producono un giornalismo di qualità ma sono anche in grado di crearsi attorno una comunità appassionata e fedele di lettori sono quelle che onorano l’intelligenza di chi legge e si informa sulle sue pagine. Tra questi c’è sicuramente il «Guardian» che seguo da sempre con interesse ma in modo in particolare da quando al suo timone c’è una donna. Katharine Viner, direttrice del «Guardian», nelle scorse settimane ha annunciato l’impegno della testata nella lotta contro il cambiamento climatico, pardon, si dice contro il surriscaldamento globale. La testata inglese, infatti, nel fare la promessa che non si tirerà indietro dinanzi a questa importante sfida – ma le darà tutto lo spazio e l’importanza che merita – ha elaborato un glossario che indica quali parole, quale linguaggio utilizzare per parlare correttamente del tema che interessa e tocca da vicino l’opinione pubblica. Lo abbiamo constatato anche durante le nostre ultime elezioni, la questione ambientale per i cittadini è importante.

E come dice il redattore del «Guardian» Paul Chadwick «l’urgenza della crisi climatica necessita di un nuovo tipo di linguaggio che la sappia descrivere». Il glossario, che in pochi giorni ha fatto il giro della Rete e delle redazioni, invita a utilizzare l’espressione «emergenza climatica» o «crisi climatica» e non «cambiamento climatico» perché quest’ultimo non riflette la serietà della situazione, la portata dell’impatto. Invita anche ad utilizzare «negazionisti del clima» o «negazionisti delle scienze del clima» anziché «scettici» che si usa per coloro che ricercano la verità mentre gli scettici del clima negano l’evidenza. Altra raccomandazione, utilizzare «surriscaldamento globale» e non «riscaldamento globale», il primo è più accurato anche da un punto di vista scientifico. «Vogliamo assicurarci di essere scientificamente precisi e di promuovere una comunicazione chiara con i nostri lettori» dice la direttrice «l’espressione “cambiamento climatico” ha una connotazione passiva e vagamente gentile mentre gli scienziati ci stanno dicendo che siamo a un passo da una catastrofe umanitaria».

Il glossario ha già fatto il giro delle redazioni di altre testate come ad esempio l’emittente pubblica canadese CBC il cui manager ha detto «il recente cambio di stile del “Guardian” ci impone di rivedere il linguaggio che usiamo per parlare del riscaldamento globale». Lara Helmut, responsabile del settore salute, scienza e ambiente del «Washington Post» dice che al «Post» non hanno ancora adottato nuove linee guida in materia ma l’iniziativa del «Guardian» sarebbe già circolata tra le redazioni e si sta pensando a qualcosa di simile. Dunque in tempi di tagli, calo della pubblicità e della qualità, aumento della concentrazione mediatica, è bello vedere che un certo tipo di giornalismo ancora esiste e vuole fare la sua parte nel riconoscere nell’emergenza climatica la questione determinante del nostro tempo. Notare che secondo il centro di ricerca no profit Media Matters for America il network ABC ha seguito più il royal baby Archie in una settimana che la crisi climatica in un anno. Ma avere anche solo una testata internazionle che promette ai suoi lettori di investigare con accuratezza e in profondità, libera da interessi commerciali o politici di sorta perché i problemi da affrontare sono sistemici e un cambiamento sociale urge subito, è già un primo passo nella direzione giusta. Gli altri dovranno solo prendere esempio e farebbero bene a farlo anche testate più piccole, testate locali, anche quelle svizzere visto il risultato delle ultime elezioni. Altra cosa importante, la testata inglese nel suo impegno per il clima promuoverà un giornalismo indipendente e non catastrofista, un giornalismo che racconta anche l’impegno virtuoso di individui o intere comunità, storie che possano infondere speranza. Solo un dibattito, un’informazione accurata e onesta può aiutarci a scongiurare il peggio.