Scuola in vacanza?

/ 20.06.2022
di Lina Bertola

Sono iniziate le vacanze scolastiche, felice momento per tanti giovani. La vacanza è un tempo sospeso in cui accogliere altre atmosfere; un tempo in cui diventa più facile sperimentare quell’altrove che è sempre in attesa nei nostri giorni. Questo altrove non ha bisogno della distanza di città esotiche o di mari lontani: questo altrove può abitare la vicinanza, può annunciarsi come presenza silenziosa dentro spazi familiari, mentre passeggio in giardino, o nel bosco, o tra le pagine di un libro. C’è sempre un mondo possibile sulla soglia del nostro vivere e di questo mondo altro, il tempo della vacanza può rivelarsi il luogo dell’accoglienza e dell’ospitalità. Vacanza dunque come sospensione e come occasione per nuove aperture, per lasciarci sorprendere dall’inatteso.

La parola «vacanza» custodisce tuttavia una specie di alter ego, nasconde un suo rovescio, un suo volto assai meno luminoso. Così oggi, salutati bambini e studenti, vorrei rivolgermi a un’altra vacanza, per nulla piacevole e assai problematica, che da tempo si sta profilando all’orizzonte.

Penso alla vacanza della scuola, ovvero, in senso letterale, a una scuola di cui è sempre più vacante il posto nella società. La scuola va in vacanza quando non riesce più a occupare il territorio della progettualità che è costitutivo di tutta la sua storia. Certo, come istituzione è stata sempre anche espressione della società, ma con una postura critica e con quella progettualità che ne costituisce appunto l’essenza, ovvero ciò per cui scuola è davvero scuola. Perché la conoscenza, da sempre, rende più liberi di pensare, di immaginare, di andare oltre. L’esperienza della conoscenza apre i nostri sguardi sulla realtà per accoglierla, ma anche per trasformarla e per orientarla verso nuovi possibili scenari. Questo è il significato più profondo dell’educarsi, di quel viaggio verso sé stessi, di quel divenire ciò che siamo.

Oggi questo intreccio tra reale e ideale si sta tristemente spegnendo e la scuola appare sempre più a rimorchio dei bisogni della società, in particolare delle esigenze di un’economia che della società è il linguaggio dominante. Così, l’esperienza della conoscenza, vissuta nella lentezza e nella bellezza del suo essere pura finalità, nell’incontro con sé stessi, con gli altri e con il mondo, viene ridotta e tradita dalle mille richieste di competenze spendibili nel mercato della vita.

La scuola, ovviamente, ha il compito di formare giovani che possano inserirsi nella società; ma non è certo la strada migliore quella di costruire dall’esterno identità efficienti e performanti che rispondano, bene e in fretta, alle richieste dell’economia. Laddove c’è davvero scuola, ciò che conta è quel tempo non misurabile che sa nutrire il proprio mondo interiore e che riesce a farlo sbocciare. Affinché ciò accada ci deve però essere anche il desiderio politico di far crescere persone che pensino con la propria testa. Quando assistiamo alla valorizzazione della conoscenza e della cultura soprattutto come esibizione, come fiore all’occhiello per promuovere imprese di ogni genere, può anche nascere qualche dubbio.

La scuola va in vacanza, insomma, quando non sa più essere, per dirla con Edgar Morin, quella zattera all’avamposto della trasformazione. Quel luogo da cui imparare a navigare nella vita accogliendo anche il valore di tutto ciò che sta fuori dalle gabbie dell’utile. Quel luogo da cui imparare anche a resistere a derive di ogni genere, ben visibili nel nostro mondo.

Mi rendo conto che questa visione del valore della scuola appare oggi un po’ controfattuale, non corrispondente alla realtà esistente. La ripropongo qui con convinzione proprio per evitare le solite concessioni al disincanto, alla logica riduttiva dei dati di fatto di cui dovremmo, lucidamente e saggiamente, prendere atto. Ho voluto richiamare il valore di una realtà inattuale perché proprio ciò che è inattuale ci ricorda che c’è sempre un altro mondo possibile, magari anche un po’ migliore.

D’altra parte, di questi valori ancora sempre profumano le aule; sono valori custoditi e coltivati, nonostante tutto, nel vissuto di tanti Maestri. Maestri che non di rado sono a disagio per la mancanza di riconoscimento della gratuità e della bellezza della conoscenza che esprimono con amorevole cura; a disagio per la difficoltà di trovare risonanze negli sguardi degli allievi, abitati da un mondo che della scuola ha travisato e impoverito il senso. Così, la figura centrale del Maestro rischia di essere sempre più depotenziata, quasi in dissolvenza sullo sfondo di belle aule tecnologicamente arredate, con lavagne dernier cri. Se lasceremo che ciò accada, la scuola potrà allora raccontare la sua definitiva vacanza.