Dopo decenni di domeniche trascorse, in gran parte, sui campi di tennis o in piscina, l’età mi ha imposto la ragionevole conversione a un’attività sedentaria: la lettura prolungata dei giornali, i quotidiani ingrossati dai supplementi festivi. È diventato un rito, termine che di solito spetta a una liturgia religiosa. E, nel mio caso, lo è: dato che la lettura s’inizia con la colonnina del «Breviario» di Gianfranco Ravasi, in prima pagina sulla «Domenica» del «Sole 24Ore». Tuttavia, a scanso di equivoci, proprio nei confronti del cardinal Ravasi, presidente della Commissione culturale del Vaticano, sarebbe fuori posto ogni sospetto di clericalismo. Nessuna chiusura, insomma, verso la società laica, di cui non si sente un giudice che emana sentenze, bensì un cittadino che cerca di individuarne vizi e virtù.
Nella puntata di domenica 13 febbraio, è stata la volta di un tema che mi concerne da vicino, o meglio concerne una categoria professionale, in cui ho militato a lungo, qual è il giornalismo: il mestiere di scrivere per informare, svolgendo una funzione di servizio. Ora, sotto il titolo Semplicità, Ravasi denuncia «Una malattia del nostro secolo: amare ciò che è complicato e considerare come profondo il discorso confuso e indecifrabile». A denunciare «questa sindrome», precisa Ravasi, fu il dottor Albert Schweitzer, uomo di grande cultura, musicista raffinato, che aveva scelto la dedizione missionaria affidata alla semplicità.
Oggi, più che mai, la parola è esposta al rischio di malintesi. Può sembrare punitiva per chi coltiva ambizioni letterarie, partendo, come spesso succede, dal giornalismo, strumento innanzitutto di divulgazione e comunicazione. Ravasi che, come divulgatore nel 2017 aveva ricevuto il premio Montanelli, insiste sulla semplicità, sinonimo di chiarezza, indispensabile per «donare agli altri la sapienza». Evitando di rinchiudersi «nella fortezza del sapere altezzoso» che, del resto, può avere effetti insidiosi. Non ultimo, il ridicolo e poi la noia. Fatto sta che, al terzo aggettivo da dizionario, il lettore abbandona l’impresa.
Con ciò, malgrado i pericoli che comporta, la scrittura rimane una tentazione diffusa, sia come hobby sia come mestiere. Nel primo caso, un passatempo privato, nel secondo un’attività destinata al pubblico. Spesso, però, gli obiettivi si sovrappongono. Chi scrive, per proprio conto, romanzi, poesie o commenti vari, lo fa per tenersi compagnia, tanto più quando i compagni mancano, com’è successo nell’era Covid. Ma su questa riservatezza, non di rado, avrà il sopravvento il bisogno di misurarsi con gli altri. Dal computer casalingo i testi passano alle stampanti di una casa editrice e diventano un libro. Ed è, rispetto all’articolo di giornale, un salto di qualità che proietta nell’ambito letterario e promuove a scrittori. I due settori sono, del resto, strettamente collegati. I giornali italiani, attraverso la terza pagina che, fino a qualche decennio fa, era riservata alla cultura, ospitarono le grandi firme della letteratura, da Pirandello alla Deledda, a Verga, a Montale, pure loro in cerca di notorietà. Anzi popolarità, parola persino sospetta, che apre interrogativi imbarazzanti anche sul piano politico.
Quale giudizio spetta alla letteratura cosiddetta popolare, quella delle grandi tirature che procurano ricchezza e fama agli autori? Giustamente, i nostri critici mettono in guardia dalle derive nella banalità per conquistare lettori e ascolti. Tuttavia, anche dietro le alte tiratura può esserci un’insospettata sensibilità, la consapevolezza dei propri limiti. Come traspare dalla confessione di Stephen King, che, in On Writing. Autobiografia di un mestiere, pubblicata nel 2000, spiega il significato del lavoro dei «proletari della letteratura»: «Prendiamo a cuore il linguaggio, nei nostri modesti limiti, preoccupati con passione dell’arte e delle tecniche con cui raccontare storie sulla carta». Storie per tutti, all’insegna della semplicità, per tornare al punto di partenza delle nostre riflessioni.
Certo che dal cardinale Ravasi al re del brivido King, il nesso può sembrare azzardato.