Fra tante proteste di piazza, violente e indecifrabili, eccone invece una condivisibile e persino simpatica. Risale a una decina di giorni fa quando, a Washington, sulla scalinata del Campidoglio, un gruppo di parlamentari, democratiche e repubblicane, si era mobilitato per una causa bipartisan, chiaramente esibita: infatti, tutte le partecipanti avevano le braccia nude. E non per via del caldo, ma in segno, appunto di protesta, in seguito al caso della cronista cui era stato vietato l’ingresso alla Speaker’s Lobby, per via dell’abito senza maniche. Così vuole una norma del severo codice che impone un vestiario, cosiddetto decoroso, per accedere alla sala stampa, mentre non viene applicata ai visitatori che entrano nella Rotonda, lo spazio riservato al pubblico. Proprio in questi giorni, frotte di turisti, in tenuta vacanziera, calzoncini, maglietta, infradito, cappellino da basket, affollano, indisturbati, i luoghi sacri del patriottismo USA. Due pesi e due misure, insomma. Da qui la polemica contro una discriminazione di genere: via libera allo short maschile, stop all’abito femminile, persino elegante, ma sbracciato, come quello della giornalista incriminata.
La manifestazione, forte del sostegno popolare, ha ottenuto un risultato concreto sul piano politico. Di fronte al crescente rumore suscitato da un episodio, a rischio di ridicolo, il presidente della Camera, il repubblicano Paul Ryan, ha promesso che lo storico Dress Code, incentrato su «sicurezza e decoro per non offendere la decenza», verrà aggiornato. Ma era visibile il suo imbarazzo, che esprimeva, del resto, una tipica contraddizione americana. Da un lato, l’attaccamento a un breve passato, di cui quelle parole erano una testimonianza, e, d’altro canto, l’esigenza di sostituirlo con il nuovo, di cui gli USA si ritengono i detentori. Esportando, nel mondo intero, quell’american way of life, che deve il suo successo a proposte che rendono la quotidianità più facile, più comoda più libera. A scapito della qualità, del buon gusto, e, ovviamente, del vecchio decoro.
E, qui, si torna al tema dell’abbigliamento, di stretta attualità proprio in queste giornate di gran caldo, che inducono a togliersi di dosso indumenti, considerati superflui. Altro che le braccia nude della giornalista in Campidoglio. Le parti scoperte si sono ormai allargate: concernono le spalle e le schiene di ragazze, in tenuta balneare, esteticamente accettabili. Ma, purtroppo, anche il dorso di omaccioni, in canottiera scollata e calzoncini tipo mutande, o, tutt’al più in pantaloni a metà polpaccio. Si tratta, sia chiaro, di una tenuta, per così dire normale, senza secondi fini pruriginosi. Lo scopo è semplicemente difendersi dalle temperature in impennata. Anche se, in pratica, il rimedio è controproducente. Più aumenta la superficie esposta al sole, più cresce la percezione del calore. Lo ribadiscono i dermatologi, ricordando l’esempio dei beduini, avvolti nelle loro palandrane.
Ma tant’è. Questa situazione vestimentaria appartiene, ormai, stabilmente alle nostre estati, prestandosi alle interpretazioni di giornalisti di costume e di storici. Per Isabella Fedrigotti, sul «Corriere della Sera», le milanesi in vestiario da spiaggia esprimevano piacevolmente un bisogno di libertà, un anticipo di vacanze. Non è, insomma, un sintomo allarmante, di cui il nudo sarebbe un indizio. Tanto più che, come osserva John Carl Flügel in Psicologia dell’abbigliamento (Franco Angeli editore): «Tutta la storia della moda è un continuo alternarsi di parti scoperte o coperte». Con ciò ci si deve arrendere a un cambiamento. Scriveva Flügel, già nel 1928: «Il nostro modello di imitazione non sono più gli anziani, che non godono più di ammirazione e rispetto, bensì i giovani, che rappresentano il nuovo verso il quale guardiamo con speranza e invidia. La moda diventa il simbolo di questa speranza e giovinezza». Il guaio è che, imitando i giovani, i vecchi finiscono, inconsapevolmente, nel ridicolo. Basta guardarsi attorno.