Una scatolina esagonale, rosa, di cartone. Nessuno l’ha mai vista, mentre affannati svuotiamo cassetti e armadi, invasi da odori, ricordi, malinconie e sorprese, una misteriosa scatola. Infognata com’era tra libri, fogli di carta, sacchetti vuoti, nascosta in fondo, non ha nemmeno quello strato di polvere che ormai affrontiamo con coraggio, straccetto umido e piumino in mano, mente alla doccia della sera, che tutto laverà. La apro. Magari non c’è nulla, magari carta velina che conteneva un prezioso, come altre scatole già trovate. Siamo senza parole, quelli di famiglia che in questo momento con me svuotano la casa che per decenni abbiamo abitato in sette, poi i superstiti, poi nessuno.
Brilla un cerchio d’oro, un anello. Il tempo non l’ha scalfito, la scatolina lo ha protetto. È una fede, una vera, insomma un anello nuziale. Non ha né date né nomi incisi, le dimensioni fanno pensare a un anello da uomo, alle mani grandi del babbo, del nonno, del bisnonno (abbiamo tutti le mani grandi in famiglia). Mi è largo anche al dito di mezzo, ma non lo voglio togliere più, come per portare sempre con me un segno del mondo di ricordi che in questi giorni si affaccia alla mente, al cuore. È come una nuvola: dalla nebbia emerge un volto, una precisa espressione, oppure il modo di sentire di essere lì, a casa dei nonni, o in campagna, o nell’auto di papà. Un odore, che non si vede, ma lo si vede arrivare. La naftalina, che fa tanto mamma, la sua pelliccia, i cappotti e le sciarpe di tutti, che chiudeva a maggio insieme a tonnellate di perniciose palline bianche.
Le sigarette mescolate al dopobarba, ecco papà in una giacca che lascia per sempre il suo armadio. Un odore sgradevole? No, significava che era a casa, quindi tutto sarebbe andato bene. Anche se il rischio sgridata poco accondiscendente si faceva più vicino, insieme si presentava la possibilità di stare più alzati la sera, di fare con lui i giochi della «Settimana Enigmistica», di correre a comprare il gelato dopo cena. Astuzia delle mamme che concedevano le concessioni tutte ai padri, per compensare severità e dolcezza nelle due figure.
Ma gli odori mi hanno distratto, che altro c’è nella scatolina rosa? Ancora gioielli, piccoli, da bambina. Un anello forse in argento con delle pietruzze, orecchini, un bracciale pieno di amuleti, oggi li chiameremmo charms: quadrifoglio, numero tredici, cornetto, angelo custode, un inquietante disegno che sembra proprio una svastica in miniatura, spero in nome del valore di speranza. Ci ricordiamo di una epigrafe, per Bianca Maria, nata nel 1934, vissuta davvero poco, sorellina della mamma da lei mai conosciuta. Infatti un medaglione in ceramica riporta due foto, un fratello di nonna militare e sull’altro lato una bimba. In un sacchettino di tulle, spavento, dei capelli, corti, sottili. A distanza di più di ottant’anni sento tra le mani come sono soffici questi capelli castani chiari, come erano i miei da bambina.
Per fortuna una terribile spilla a forma di cavalletta – è la terza che troviamo in casa, dovevano essere di gran moda – vira lo stupore per il macabro in risata per l’orrendo, e anche stavolta la morte è beffata. Non abbiamo finito: sotto i gioielli c’è anche una moneta da due dollari e mezzo, nessuno aveva idea che ne fossero mai esistite, forse un altro purtroppo inutile portafortuna per la piccola. I cugini della nonna erano emigrati a Washington, dove erano diventati benestanti costruendo tombe di cemento, e famosi per quella di John Kennedy. Ma stavolta il macabro non torna a visitarci, è troppo divertente il ricordo di questi ormai americanissimi parenti – ricchi grazie ai morti – da cui aspettavamo doni e denari, e che invece regalavano a ciascuno di noi solo un dollaro, facendo pure il gesto di nasconderlo nella mano e poi passarlo nella tua al momento di salutarsi.
Scene da saloon, che lasciavano i bambini a guardarsi la mano col dollaro e papà ancora questa volta privo del regalo che chiedeva loro da anni: una sorta di zaino a motore che gli permettesse di volare non ad altezze esagerate, evitandogli il fastidio del traffico, del parcheggio, della fatica di guidare o prendere un mezzo. Per farlo contento stavamo all’erta, siamo riusciti negli anni a trovare due modelli, quello degli astronauti sulla luna e l’altro, costruito da Archimede Pitagorico per aiutare la famiglia dei paperi a fuggire la Banda Bassotti. In effetti, entrambe invenzioni americane. Un anello, una moneta, raccontano un secolo che sembra ormai lontano, ma, come i filosofi sanno, nel ricordo torna presente, fa battere il cuore, incontrare le generazioni.