Scelte che non vorremmo mai compiere

/ 17.01.2022
di Lina Bertola

Immaginate di essere alla guida di un tram a cui si sono rotti i freni; a poca distanza cinque persone si trovano a lavorare sui binari e rischiano irrimediabilmente di essere investite. C’è però ancora la possibilità di azionare uno scambio e spostare il tram sull’altro binario in cui c’è una sola persona. Che cosa fate?

Qualcuno forse avrà riconosciuto, tra le righe, uno di quegli esperimenti mentali con cui a volte i filosofi si cimentano per comprendere e valutare i nostri comportamenti di fronte ad un dilemma etico.

Si è potuto così appurare che la stragrande maggioranza delle persone interpellate opterebbe per azionare lo scambio: sacrificare una vita per salvarne cinque significherebbe scegliere il male minore. Questa scelta è frutto dal calcolo delle conseguenze delle nostre azioni. È bene però sottolineare che con questa decisione ci si muove in una prospettiva squisitamente quantitativa. Infatti, in un’ottica quantitativa, cinque vite valgono più di una sola.

Questa soluzione ampiamente condivisa del dilemma è una chiara espressione del nostro modo di pensare, una esplicita manifestazione del nostro modo di ragionare che funziona perlopiù calcolando e misurando la realtà e lasciando giocoforza sullo sfondo le qualità non misurabili di ciò che viene misurato. Funzioniamo così, e non solo di fronte a dilemmi etici astratti e abbastanza improbabili come quello del nostro esperimento filosofico. Bisogna riconoscere che misurare le conseguenze di un’azione per sceglierla e per giustificarla eticamente è una prassi senz’altro apprezzabile in termini di responsabilità sociale e politica. Basti pensare come questa prospettiva orienti positivamente il dibattito sull’emergenza ecologica. Il nostro esperimento mentale può tuttavia aiutarci a leggere molte altre situazioni reali e altrettanto attuali. Situazioni in cui è possibile riconoscere anche alcuni limiti di una visione che guardi solo alle conseguenze del nostro agire. Prendiamo ad esempio le cosiddette auto a guida autonoma prossime venture. Si tratta di macchine robotiche che per ora esistono solo come prototipi ma di cui si prevede l’avvento in tempi non troppo lontani. Nelle forme più estreme di automazione potrebbero arrivare ad agire senza più alcun intervento umano, a comportarsi nel traffico in base a scelte etiche predeterminate, già impostate nel programma.

Ecco che allora il dilemma del tramviere si riproporrebbe, seppure in forma diversa: che cosa sceglieremmo di far compiere a queste macchine robotiche in caso di rischio di incidente? Saranno programmate per preservare la vita dei passeggeri o per minimizzare il rischio complessivo? In questo caso concreto, che sembra profilarsi in un futuro non troppo remoto, si comincia ad intravedere un altro modo di percepire le questioni etiche. Uno sguardo che scavalca calcoli e misure. Uno sguardo più attento alla vita delle persone in carne ed ossa, percepite nella loro unicità. Uno sguardo che ci invita a tener conto, nelle nostre scelte, anche di principi che appaiono irrinunciabili. Perché al di là di fatti misurabili, quando in gioco ci sono vite umane, emerge con forza anche la prospettiva qualitativa: l’azione sarà buona solo se saprà tener conto della qualità, del valore in sé della vita.

È in quest’ottica qualitativa che possiamo arrivare a chiederci, forse brutalmente, se il valore della vita sia misurabile, se sia possibile dare un peso alla vita. La domanda sembra emergere oggi con una sua drammatica attualità. Confrontati con una pandemia che ancora non pare lasciar scampo, che continua a tenere sotto pressione le risorse sanitarie, potremmo essere costretti a dover scegliere chi curare. Una domanda profondamente sbagliata dal punto di vista etico, forse anche impensabile, ma che potrebbe comunque proporsi nella cruda concretezza dei fatti. Di un cosiddetto triage per le cure intense si è infatti già parlato, qualche settimana fa, a proposito di un caso avvenuto nel Canton Argovia.

A tutti noi immagino sia capitato nella vita di trovarci di fronte a scelte che non avremmo mai voluto compiere. E questo perché, a volte, il meglio o il peggio, o le conseguenze positive, non sono chiaramente distinguibili, né tantomeno calcolabili. Sono sempre situazioni dolorose, in cui la libertà della scelta, come ci ricorda il filosofo Jean Paul Sartre, può trasformarsi in una condanna.

Qualcosa del genere potrebbe mettere ora alla prova le nostre società: dilemmi etici indesiderati che per quanto affrontati con criteri condivisi creano sempre sofferenza.
Speriamo che ciò non debba accadere e che ciascuno di noi si impegni ad evitarlo.