Scarpe da tennis all’asta

/ 18.10.2021
di Luciana Caglio

A scanso di equivoci, non si sta parlando delle scarpe indossate da Roger Federer sul campo, degne quindi di figurare, come cimelio storico, nelle teche del Tennis Museum di Wimbledon. Nuovo oggetto di desiderio e addirittura di culto, un paio di comuni «sneakers». Comuni, si fa per dire. Infatti, agli inizi di ottobre, Oerlikon ha ospitato una primizia mondiale: la «sneakerness», fiera delle sneakers, ex scarpe da tennis. Tra gli 8000 modelli esposti anche calzature che superavano quotazioni stellari, dai 4000 fino ai 15’000 franchi. I nuovi proprietari di queste rarità dicono che non le calzeranno ma che finiranno tra i tesori di casa, da esporre. Fiere del genere, come pure la vendita online di modelli in edizione limitata, e quindi super richiesti, stanno diventando sempre più diffusi. Una nuova forma di collezionismo, che sostituisce la filatelia. A corto di materia prima: si è chiusa ormai l’era del francobollo.

Certo che ne ha fatta di strada la scarpa da tennis e da jogging. Calcando marciapiedi, viali, piste. E, raccontando, proprio attraverso il suo aspetto e il suo impiego, oltre mezzo secolo di costume, nel senso esteso del termine. Cioè, capo d’abbigliamento e abitudini quotidiane e culturali. Per quelli della mia generazione, «scarp de tennis» rimane, innanzitutto, il titolo della canzone di Enzo Jannacci, con cui dava vita al personaggio del balordo, del marginale, circondato dall’alone romantico e tipico del ’68.

Insomma, altro che origini e destinazioni proletarie. La sneaker appartiene alle invenzioni del look americano che, con i jeans, ha livellato l’estetica vestimentaria nel mondo. Le prime a indossare questa sorta di scarponcini, suola di gomma e tomaia di tela o di sintetico, furono le segretarie del settore finanziario di New York. Ma le usavano solo per il tragitto a piedi o in metropolitana. In ufficio, era d’obbligo la scollata con tacco a spillo: una rovina per la salute dei piedi e dei pavimenti. Da qui, il divieto che le mise al bando. Per l’industria e il commercio si apriva una scommessa: o chiudere baracca o fiutare una tendenza irreversibile. Nacquero così marchi, ormai celebri: le «tre righe», lo «swoosh» e altri ancora, prediletti dai giovanissimi. Fu poi la volta delle sneakers «firmate», che conquistarono le simpatie di consumatori esigenti, abituati al classico costoso. Con la sneaker coloratissima e scintillante si concedevano un tocco di fantasia. Del resto, questa scarpa comoda e pimpante fece da traino a tutto l’abbigliamento, in particolare quello maschile, ispirato al classico inglese.

A prima vista, potrebbe indicare l’avvento di un’era egualitaria e ragionevole. Funzionalità e comodità innanzitutto. In pratica, anche la vecchia scarpa da tennis proletaria è cambiata creando un suo particolare chic, non solo per via del prezzo, a volte esorbitante, ma per una sorta di plusvalore di tipo sociale e culturale. Un esempio rivelatore: in una delle ultime immagini che ha lasciato di sé, Gillo Dorfles, ultracentenario, portava sneakers rosso fiamma.

Tacchi, scollate di vernice o di camoscio, preferibilmente nere, blu o marrone: tutto ciò spazzato via dall’avvento delle sneakers? Sta di fatto che lo spazio riservato alla calzatura classica continua a restringersi. Persino le hostess, un tempo simbolo di eleganza, sono state autorizzate, per i voli low cost di SkyUp, ad indossare tute e scarpe comode, cioè sneakers. Commenti mediatici, favorevoli all’unanimità. Via libera dunque alla funzionalità, che però corre il rischio di confondersi con il «farsi i propri comodi».

Una svolta tutta senza rimpianti? Si avvertono anche sintomi di segno opposto. Il successo della serie, e del film, Downton Abbey, riproposto sugli schermi italiani, è dovuto anche proprio al piacere di ritrovare immagini di un’eleganza perduta. Reazioni paragonabili sta suscitando la saga dei Florio, pagine di storia in cui la cura dell’abbigliamento esprime il culto del bello, frutto di disciplina e rispetto di sé e dell’altro, in grado di sfidare le epoche. Saranno le sneakers a raccontare la nostra?