Cara Silvia,
quest’anno San Valentino è giunto di domenica, a scuole chiuse. Meno male, mi son detta , perché l’anno scorso per mia figlia Carlotta è stato uno strazio. Non l’ho mai raccontato a nessuno perché mi faceva troppo male ma adesso, a cose passate, sento il desiderio di sfogarmi.
Aveva 10 anni quando il 14 febbraio del 2020, il giorno di San Valentino, è arrivata in classe un po’ dopo le altre. Il suo scuolabus era sempre in ritardo. Appena seduta, ha visto sul banco una bella scatola di cioccolatini a forma di cuore e, mentre le compagne l’osservavano in silenzio, l’ha aperta trovandola piena di bigliettini decorati con una pioggia di cuoricini rossi. Per farla breve: tutti i maschi della classe dichiaravano di amarla e le inviavano auguri e baci. Valentina, che non si sentiva accettata dalle compagne e rimaneva spesso isolata , ha avuto – così mi ha raccontato – un momento di felicità. Ma giunta all’ultimo bigliettino, è scoppiato un Buuuu! collettivo. Era uno scherzo ideato da quelle che avrebbero dovuto esserle amiche.
Per fortuna quest’anno, nella nuova scuola, ha trovato un clima migliore e un’amicizia che mi sembra sincera. Ma ha pianto tanto e credo che quella brutta esperienza rimarrà per lei indimenticabile. E anche per me. Dopo di allora non ne abbiamo più parlato ma non so se è giusto tacere e far finta di niente. Lei che cosa mi consiglia? Devo mantenerla sotto silenzio o tirarla fuori?
Grazie per le sue risposte che ritaglio e conservo come aiuto a riflettere in tante occasioni. / Tullia
Cara Tullia,
grazie del suo apprezzamento che estendo a tutti i corrispondenti della «Stanza del dialogo». Se segue questa rubrica, sa già che le risponderò invitandola a non cancellare una esperienza che ritengo traumatica, tanto per Carlotta quanto per lei. Il dolore dei nostri figli, soprattutto quando è ingiusto o immotivato, ci ferisce profondamente ed è difficile dimenticarlo.
Lei ha già compiuto, con coraggio, il passo fondamentale di rievocarlo, dargli parole e condividerlo con noi. Ma penso che per parlarne con sua figlia sia preferibile aspettare un momento opportuno, lontano dal giorno «incriminato». La cosa migliore sarebbe trattare il problema nella Scuola, inserendolo nel percorso di formazione, quando ragazze e ragazzi, di fronte alla scelta di un indirizzo di studi, si pongono le domande fondamentali: «chi sono io?», «come immagino il mio futuro?», «come penso di inserirmi nella vita adulta?».
In vari modi questi casi di bullismo femminile sono molto più frequenti di quanto non si creda. Se mamme e nonne ci pensano, troveranno nei loro ricordi tanti altri esempi. Anch’io a dieci anni, senza un apparente perché, mi sono trovata abbandonata dalle amiche del cortile e l’assicuro che ho sofferto quel volta faccia come raramente nella vita. Per fortuna la nostra storia prosegue e ci offre nuove occasioni per ricominciare, come è accaduto a Carlotta. L’importante è ritrovare la fiducia in noi stesse e nelle altre, senza farci bloccare dalla paura e dal sospetto. Non si cresce senza sofferenze e, in un certo senso, queste frustrazioni ci immunizzano dai virus della malevolenza, mai definitivamente debellato. Se siamo riuscite a sopravvivere una volta, dobbiamo dirci, lo faremo ancora.
Ma perché, mi chiedo, questa forma di subdola violenza è più femminile che maschile? Perché i ragazzi possono sfogare la naturale aggressività, nella competizione regolata. Nel gioco del calcio, ad esempio, sono i risultati che stabiliscono una gerarchia di valore, non le insinuazioni. Esiste, è vero, il bullismo maschile e sembra più grave perché spesso lascia lividi nel corpo, ma quelli nell’anima sono più dolorosi, anche se meno evidenti.
Per secoli le fanciulle hanno avuto, per emergere, una sola competizione: quella del corteggiamento. Una gara particolarmente difficile perché quei meriti sono spesso immeritati: la bellezza, la salute, il fascino costituiscono doni del destino più che conquiste dell’impegno e, come tali, suscitano sentimenti di invidia e gelosia. Che cosa possiamo fare? Sostituirli con altri valori, quali l’intelligenza, lo studio, la sincerità, la solidarietà femminile. Un cambiamento morale suggerito da libri famosi quali Piccole donne crescono di L.M. Alcott e Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. Dobbiamo riconoscere che, col tempo, molte cose sono cambiate. Le donne hanno raggiunto condizioni di autonomia, indipendenza e autorevolezza senza precedenti ma, come dimostra il triste San Valentino di Carlotta, nel profondo di noi sopravvivono residui del passato non ancora smaltiti. Come scrive Freud: «nel nostro Inconscio scorrazzano i (dino) sauri».
Stiamo vivendo un «tempo sospeso» che promette un cambiamento radicale. Che sia in meglio dipende soprattutto da noi.