Roma in tempo d’elezioni

/ 20.09.2021
di Alessandro Zanoli

Luigi si era ripromesso, proprio nel periodo più scuro e spaventoso del lockdown, l’anno scorso, di tornare a Roma. Chissà perché nel momento in cui sembrava impossibile ogni prospettiva di un futuro «normale», per lui, il senso della liberazione dall’incubo veniva dall’idea che sarebbe tornato a visitare la capitale italiana. A fare da sottofondo, più o meno inconsciamente, erano certo alcune letture goethiane applicabili alla reclusione pandemica («io conto di essere nato una seconda volta, d’essere davvero risorto, il giorno in cui ho messo piede a Roma», diceva il poeta tedesco).

Ma chi ci è stato lo sa. È essenzialmente una questione di luce, di convivenza tra architettura e antropologia, tra l’arguzia popolaresca e il sussiego protocollare che animano le vie e le piazze, a rendere così speciale Roma. Quasi un emblema della vitalità e della storia.

L’idea del viaggio non dev’essere stata solo sua. Oggi le strade della città sono un pullulare di turisti che albergatori e operatori definiscono solo «soddisfacente». «Ci mancano i visitatori d’oltreoceano» lamentano alcuni, ma girando per le vie del centro viene seriamente da chiedersi dove li metterebbero.

«Roma capitale» (questo lo slogan con cui si fregia oggi di fronte al mondo), ben lungi dalle descrizioni catastrofiche che si leggevano sulla stampa negli scorsi mesi, è ordinata e pulita. Nessun cumulo di spazzatura a ingombrare le strade. Nessun segno di degrado e di trascuratezza disturbano il turista nelle vie del centro. L’uso generalizzato del green pass e della misurazione della temperatura rende accessibili in apparente perfetta sicurezza i luoghi da visitare. Addirittura, da turisti elvetici, dopo aver chiesto un po’ di clemenza per aver dimenticato in albergo i documenti personali, ci sentiamo rispondere: «La legge è la legge, signore. Non possiamo fare un’eccezione per lei».

L’aspetto interessante di questa visita settembrina di Luigi è che cade in concomitanza con la campagna per le elezioni amministrative, che il 3 e 4 ottobre designeranno il nuovo sindaco. Dopo un quadriennio in cui Virginia Raggi, candidata dei 5Stelle, è stata spesso al centro di forti polemiche (e anche di vicende giudiziarie), nello scenario politico romano ci si interroga su chi possa prendere il suo posto. I partiti sembrano giocare qui una partita strana, guardando alla poltrona del Campidoglio come a una sorta di allenamento per le elezioni politiche italiane dell’anno prossimo. Luigi nota infatti, curiosamente, come i manifesti elettorali riportino essenzialmente l’effigie dei capi di partito e non quella degli aspiranti sindaci. Un’immagine accattivante e rassicurante di Giorgia Meloni, ad esempio, occhieggia dal retro degli autobus sostenendo Enrico Michetti, il candidato di Fratelli d’Italia, verso il quale convergono peraltro i voti di tutto il centrodestra.

Su altri autobus (che sembrano essere stati scelti come principale «veicolo» di campagna elettorale) per sostenere lo stesso Michetti campeggia invece un sorridente Matteo Salvini. Gli schieramenti avversari sono decisamente meno visibili. La frammentazione delle candidature fa sì che, a parte qualche piccolo riquadro d’autobus dedicato a Carlo Calenda, il quale ha sparigliato le carte a sinistra, né quella ufficiale di Roberto Gualtieri (sostenuto da Pd e associati), né quella della stessa Raggi godano di altrettanta visibilità. I giochi sembrano già fatti, e nessuno sembra entusiasmarsi per il voto: «Nun hanno fatto gnènte quelli de prima, nun faranno gnènte manco questi», dice il taxista. Ma Roma esiste e resisterà, al di là di tutto.