Roghi a Bruxelles

/ 03.07.2017
di Cesare Poppi

Uno dei temi più complessi e controversi della riflessione antropologica riguarda il rapporto fra la religione e le forme del potere – quello politico in primis. Lo storico conflitto fra Israeliani e Palestinesi, quello apparentemente insolvibile fra Sunniti e Sciiti che vede protagoniste branche, sette e confraternite di ogni confessione, assieme al ricorrente fondamentalismo della jihad testimoniano dell’irriducibilità del problema ad una pura e semplice separazione dei poteri. Se la formula «libera Chiesa in Libero Stato» descrive la configurazione ideale di una non-interferenza entro la quale possono stare le libertà e le convinzioni di tutti, l’atto pratico vede spesso interfacciarsi politica e religione secondo una fenomenologia non sempre corrispondente al dettato delle Costituzioni degli stessi Stati del cosiddetto Occidente Democratico. Ed è quasi un’ironia storica che una certa misura di pax religiosa sia stata raggiunta nell’epoca moderna anche e proprio con l’affermarsi dello spirito cosiddetto secolare dell’Illuminismo «laico» quando non addirittura antireligioso e certo anticlericale. Ma non è sempre stato così – anzi.

L’esordio dell’epoca moderna stessa comincia in Occidente con quella Riforma protestante che vedrà, a partire dal 1517 con l’affissione delle 95 tesi di Lutero contro la vendita delle indulgenze da parte dei principi locali intenti a comprare lucrosi titoli ecclesiastici e fino alla fine della Guerra dei Trent’Anni (1648), Cattolici e Protestanti impegnati a darsele di santa ragione – e quando non in guerra aperta indaffarati a ripulire i rispettivi territori da ogni traccia del nemico.

Fu così che il primo di luglio del 1523 Johann Esch e Heinrich Voes furono bruciati al rogo nella piazza del mercato di Bruxelles, primi martiri della Riforma protestante. Erano entrambi monaci agostiniani, dello stesso ordine di Lutero, nel monastero di Anversa. Un anno prima l’intero monastero si era dichiarato aderente alle tesi di Lutero, scomunicato in quanto eretico da Papa Leone X il 3 gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Ponteficem. La bolla metteva fine a quattro lunghi anni nei quali molto si era tentato per far rientrare l’incidente di Wittenberg che, nello stesso Vaticano, era sembrato ad un certo punto essere nient’altro che una delle tante dispute fra gli ordini monacali intenti a farsi lo sgambetto gli uni con gli altri. Lo stesso Leone X aveva tentato di minimizzare la questione sospettando che dietro alle Tesi altro non vi fosse che una sorta di gelosia degli Agostiniani nei confronti dei Dominicani accusati di godere delle entrate dalla vendita delle indulgenze in regime monopolistico. Ma vi era, ormai – mi permetterete un’amara metafora – molta più carne al fuoco.

Nel dichiararsi aderenti alla Riforma, gli agostiniani di Anversa sostenevano che gli stessi Vescovi – e dunque anche il Papa come vescovo di Roma – fossero soggetti all’autorità delle Scritture, sovrana anche riguardo alle tradizioni della Chiesa. Papa e Vescovi, inoltre, dovevano limitarsi ad esercitare il poter temporale rinunciando pertanto al potere politico che molti vescovi esercitavano in Germania in qualità di Principi-Vescovi e grandi elettori dell’Imperatore. Capirete come, in questo contesto, la vendita delle indulgenze cominciasse a passare in seconda fila in ordine d’importanza. Colpito sul vivo, il vescovo di Cambrai fece arrestare tutti i monaci del convento di Anversa. Interrogati – guarda caso – dal teologo domenicano Jacob van Hoogstrasten (e quale altra tonaca avrebbe potuto vestire se non quella degli arcinemici degli Agostiniani?) e da un comitato di teologi dell’Università di Lovanio, gli inquisiti furono informati che l’adesione alle tesi luterane comportava molto probabilmente la pena di morte.

A questo punto tutti i monaci inquisiti ritrattarono le loro tesi, anche se obtorto collo. Tutti eccetto tre. Voes, Esch ed un certo Lampertus Thorn reiterarono le loro convinzioni e furono pertanto trasferiti dalla prigione di Vilvorde per essere consegnati alla Corte di Giustizia Secolare di Bruxelles. Qui giunti, furono di nuovo interrogati sulla base dei risultati dei dotti interrogatori dei teologi. Come la recente storiografia sembra aver accertato, il «braccio secolare» al quale l’Inquisizione ecclesiastica (se vogliamo un po’ pilatescamente) passava le sue conclusioni istruttorie affinché quest’ultimo traesse le sue spesso ovvie conclusioni, non andava troppo per il sottile preferendo efficienza e velocità ai voli pindarici dei teologi. A Lampertus Thorn furono concessi altri quattro giorni per riesaminare le sue posizioni alla luce delle Scritture: morirà in carcere molti anni dopo.

Johann Esch e Heinrich Voes all’ultima profferta di abiura risposero: «Moriremo come cristiani per la Verità del Vangelo». Narra il cronista che mentre le fiamme li avvolgevano continuarono a recitare il Credo. Alla fine intonarono il Te Deum «fino a quando il fuoco soffocò il loro canto e di loro rimase solo cenere»: Kyrie eleison.