Rivoluzione slow

/ 26.12.2022
di Aldo Grasso

«Non c'è cammino troppo lungo per chi cammina lentamente, senza sforzarsi; non c'è meta troppo alta per chi vi si prepara con la pazienza». (Jean de La Bruyère, I caratteri, 1688)

In un romanzo di Milan Kundera, La lentezza (Adelphi), il protagonista dopo essersi accorto dallo specchietto retrovisore di un conducente che vorrebbe superarlo, apre una riflessione che lo porta a chiarirsi: «La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo». E poco dopo si chiede: «Perché è scomparso il piacere della lentezza?». Grazie a Kundera, “lentezza” ci appare come una parola di cui scopriremo un senso nuovo, come se non l’avessimo mai conosciuta prima. Così, di colpo, ci apparirà evidente che parlare della lentezza significa parlare della memoria – e parlare della memoria significa parlare di tutto.

La scena mi è tornata in mente leggendo “In contrattempo. Un elogio della lentezza” di Gianluigi Beccaria (Einaudi). Beccaria è uno dei più importanti linguisti italiani e ha scritto questo libriccino, come ci ricorda la quarta di copertina, perché l’un elogio della lentezza va inteso come elogio della lettura e della scrittura attenta: «Se scrivere è indugio intorno al “fare”, e leggere un restare in totale compagnia di sé stessi, percorrendo un percorso individuale, il testo in quanto oggetto privilegiato deve di conseguenza assorbire ogni attenzione. E l’attenzione e l’indugio sono virtù da coltivare per i loro effetti positivi soprattutto in un’età come la nostra, l’età della velocità. E la velocità porta con sé, insieme ai notevoli agi, un’erosione culturale di cui ancora non siamo in grado di valutare le conseguenze».

Anche Umberto Saba elogiava la lentezza: «Di cosa soffre profondamente l’uomo? Di non poter né sfogare né sublimizzare i propri istinti. La sublimazione è opera lenta, difficile: lavoro di millenni. Si ha l’impressione che le cose “sono andate troppo presto”, che la civiltà “ha bruciato le tappe”. Si trema di sentirla estremamente fragile, in balia di un ebbro di distruzione. Il troppo rapido è più pericoloso del troppo lento». Per questo Beccaria ci invita a seguire l’antico adagio «affrettati lentamente», soprattutto davanti ai messaggi che la lingua dei testi ci comunica: «festína lente  è l’aureo motto scelto da Aldo Manunzio per i suoi frontespizi, attinto da uno dei quattromila adagia raccolti e commentati da Erasmo (…) oltre al motto il grande editore adottò anche un simbolo che figura la fermezza con l’àncora attorno alla quale un veloce delfino ruota vorticosamente».

Da Slow Food al sesso tantrico, dal pilates alla medicina omeopatica, negli ultimi anni la rivoluzione slow si è diffusa negli ambiti più disparati della nostra iperattiva ed efficientissima quotidianità. Contro la tirannia dell’orologio e i ritmi frenetici che riempiono a dismisura ogni minuto dedicato al lavoro, alla salute, alla famiglia, dobbiamo scoprire, e mettere in pratica, un salutare ritorno alla lentezza: ritagliarsi ogni giorno uno spazio in cui spegnere computer, cellulari, radio e tv, concedersi un pasto cucinato con le proprie mani, scegliere un passo meno frenetico e trovare il tempo di guardarsi attorno. Di solito, ci troviamo di fronte a manuali di consigli per “vivere meglio”, per evitare le nevrosi, per non essere schiavi della frenesia. Beccaria insiste invece per farci ritrovare un rapporto più “lento” con la lettura, il solo modo per godere di un processo creativo: «La magia dello scrittore sta nel saper trovare l’infinito nelle cose semplici, concentrare, isolare il valore ontologico di tutto ciò che esiste, ma senza assolutizzarlo, bensì rispettandolo nel suo essere, rispettando il “minimo”, perché ha una sua importanza ed essenzialità. I grandi scrittori posseggono una singolare carica visiva, capace di trasformare potentemente il particolare nell’universale».

Non c’è dubbio, esiste un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. In “Elogio della lentezza” (Il Mulino), Lamberto Maffei, presidente dell’Accademia dei Lincei ed ex direttore dell’Istituto di Neuroscienza del Cnr, provava a richiamarci all’ordine. Ci guidava nell’esplorazione dei meccanismi cerebrali che inducono all’eccessiva velocità e ci rappresentava, con una certa dose di nostalgico pessimismo, i vantaggi del pensiero lento, di un pensiero che assecondi i tempi naturali della macchina, il cervello appunto. Come ribadisce Beccaria: «La bellezza di una narrazione non risiede nello scorrere di una trama, nel dipanarsi di una “storia”. Sta nel come le cose sono dette, i suoi spezzoni sono registrati e montati, nel come è fatta e come si è fatta l’opera. Un testo non si riduce alla vicenda narrata. Conta la “costruzione” della storia, il come è fatto quello che l’autore dice. Sia in prosa sia in poesia la “confezione” e il ritmo di lettura che ne consegue sono il segreto dello scrivere composizioni legate, come delle “partiture” che soltanto una lettura attenta, interna e continuata può cogliere nella loro consistenza compositiva».