Non passa giorno, o quasi, senza che i nostri quotidiani si occupino dei possibili cambiamenti nel nostro modo di vita che potrebbero essere indotti, nei prossimi anni, dalla rivoluzione digitale. Per quanto sappia io, ancora non esiste un catalogo di queste modifiche. Ma i lettori attenti della nostra stampa avranno sicuramente avuto modo di riconoscere alcune delle tendenze di fondo che vengono illustrate da questo o quell’articolo. Abbiamo dapprima il tormentone del digitale che distrugge posti di lavoro, che, spesso, è accompagnato dal romanzo d’appendice sulle centinaia di migliaia di posti di lavoro che la rivoluzione digitale saprà creare.
I due quesiti di fondo che pone la futurologia che si occupa del digitale sono la questione a sapere se il bilancio delle perdite e dei guadagni in posti di lavoro si chiuderà con una perdita o con un guadagno netto e quella concernente il tipo di posti di lavoro che la rivoluzione digitale distruggerà o creerà. Non mancano le risposte a queste domande anche per quel che riguarda il caso svizzero. Il problema è che, per il momento, le stesse sono spesso contraddittorie, ragione per cui, per chi vuol saperne di più, purtroppo, non c’è che una cosa da fare: aspettare!
Un’altra tendenza di fondo ci parla delle nuove applicazioni che potrebbe avere il digitale. Tra queste si sente sempre di più parlare della messa in rete di elettrodomestici e altri aggeggi che usiamo quotidianamente come, per non citare che uno degli ultimi esempi, l’ascensore. Comune a questi apparecchi è che di quando in quando si guastano e devono essere riparati. Altrettanto comune è che molte delle ditte che li producono assicurano, già oggi, un servizio di manutenzione post-vendita. In futuro è possibile che gli apparecchi venduti (ascensori compresi) vengano messi in rete e che avvertano direttamente la ditta produttrice quando entrano in panne. La messa in rete di apparecchi che devono essere frequentemente riparati sembrerebbe una cosa ragionevole. Se non che, se il proprietario dell’apparecchio non è più libero di decidere se, o meno, far intervenire il montatore, una parte della sovranità del consumatore va a farsi benedire.
È proprio su questo aspetto che si concentrano altri studi sulla rivoluzione digitale. In un articolo pubblicato qualche settimana fa sulla NZZ Mathias Binswanger ci ricordava che in Cina si sta costruendo, da qualche anno, un sistema di bonus sociali con il quale le scelte dei cittadini saranno registrate dal computer, valutate e influenzate perché vadano nella direzione che soddisfa il regime. Chi paga le sue fatture e gli interessi sui crediti che ha ricevuto senza ritardi, le imposte e le tasse che deve allo Stato, rispetta le sue leggi e le sue regole e dà seguito come previsto agli obblighi che ha contratto riceverà abbuoni. A chi sgarra verranno invece addebitati punti negativi. Chi si comporta bene godrà di vantaggi particolari ottenendo per esempio, più facilmente che gli altri, permessi, licenze pubbliche o altre prestazioni dello Stato. Chi si comporta male, invece, resterà penalizzato. A noi occidentali, paladini della libertà individuale, fa naturalmente specie che un cittadino possa vedersi limitato nei suoi diritti (fosse solo perché viene messo in fondo alla coda che si forma davanti agli sportelli pubblici) perché, per esempio, non vuole pagare la tassa sul sacco dei rifiuti.
Tuttavia, come osserva Binswanger, questo tipo di evoluzione non si manifesta solo in Cina o solo in paesi poco democratici. Anche da noi comincia a manifestarsi una tendenza con la quale non tanto lo Stato, quanto le organizzazioni economiche del settore privato introducono, approfittando delle possibilità offerte dal digitale, sistemi di bonus e malus che limitano la sovranità del consumatore. Binswanger cita l’esempio del consumo energetico e delle casse malati. Come si è visto qui sopra le possibilità di controllo sul comportamento dei consumatori sono molte perché, con la rivoluzione digitale, avremo una possibilità quasi infinita di generare informazioni. Da questo punto di vista il Brave New World di Aldous Huxley non sembra più essere molto lontano. Grandi organizzazioni del settore privato hanno un interesse diretto a che un algoritmo influenzi il comportamento del consumatore nella direzione che a loro conviene. Lo Stato – come dimostra il caso della Cina – ha, a sua volta, interesse a promuovere comportamenti sociali uniformi perché semplificano i compiti del governo e del controllo.
Per Binswanger ciò che maggiormente preoccupa, però, non sono tanto le possibilità di limitazione della libertà di scelta individuale, insite negli sviluppi del digitale, quanto il fatto che, nell’opinione pubblica, nessuno sia dia da fare per opporsi agli stessi.