Rivitalizzare lo spazio pubblico

/ 28.03.2022
di Orazio Martinetti

La miccia già guizza nel campo della politica, dai piani alti (Europa) a quelli intermedi (nazionali) fino al pianterreno (Ticino). Tra poco, il 10 aprile, inizia la Francia, con le presidenziali (ballottaggio il 24 aprile). Nella primavera del prossimo anno, salvo colpi di scena (sempre possibili), toccherà agli italiani rinnovare il parlamento, per la prima volta drasticamente ridotto nei suoi effettivi. Il 2023 sarà agitato anche da noi, con le cantonali (in programma il 2 aprile) e le federali (22 ottobre).

Le inchieste sociologiche – l’ultima quella condotta dall’Osservatorio della vita politica di Losanna – dicono che la curva dell’astensionismo cresce di anno in anno, e che appare difficilmente arrestabile. Politici e cittadini fanno vieppiù fatica a parlarsi e a intendersi. Due mondi separati, che hanno cessato di comunicare tra loro come nei film di Antonioni. La destra continua a premere sul pedale del sovranismo, in base alla collaudata triade fede, patria e famiglia tradizionale; sull’altra sponda opera una sinistra scheggiata, che non sa bene se il sistema capitalistico vada superato o semplicemente rimesso in carreggiata come consigliava Olof Palme: tosare la pecora senza ucciderla.

Molti osservatori contestano però lo schema binario destra/sinistra ereditato dalle culture politiche otto-novecentesche. Ritengono infatti che non colga più l’essenza dei mutamenti in atto: un moto tellurico che ha disarticolato classi sociali e orizzonti ideali, scarnificato le ideologie, messo sotto naftalina le subculture liberali, democristiane, socialiste e comuniste.

Precisiamo: congedo dal passato non vuol dire svuotamento dello spazio politico. La protesta corre su altri binari, a lato dei canali consueti e delle liturgie condivise. Si svolge perlopiù fuori dal Palazzo, nelle strade e nelle piazze; nasce per contrastare balzelli giudicati iniqui, com’è accaduto in Francia, o per reclamare misure più incisive per combattere il riscaldamento climatico. A volte degenera in scontri tra fazioni opposte, spesso aizzate da gruppuscoli di provocatori di oscura provenienza: ma sono fenomeni che prendono fuoco nelle grandi città, non nei nostri piccoli centri ove tutti si conoscono. Sono minoranze, avanguardie attive, soprattutto giovanili. Che vanno prese sul serio e ascoltate, e senza montare in cattedra per denigrarle.

Poi c’è l’ampia area del disinteresse, della sfiducia, della disaffezione. Un collettore di frustrazioni sempre più ampio che deve giustamente preoccupare tutte le componenti vitali della società: partiti, associazioni, istituzioni, informazione, scuola. L’astensionismo cronico è veleno per tutte le democrazie; se la partecipazione al voto decresce al punto di farsi valanga è fatale che alla fine comanderanno in pochi (oligarchia) e probabilmente i peggiori (oclocrazia).

Lo sappiamo, non sarà facile arrestare la caduta. Risalire la china? Un’impresa improba. E tuttavia bisognerà provarci, pena la disidratazione della società civile. Mancano ancora diversi mesi all’appuntamento elettorale, tempo che va sfruttato per riguadagnare il capitale più prezioso dell’agire politico: la fiducia. Ma per riconquistarla occorrerà mettere in campo una robusta batteria metodologica composta di «immaginazione», «progettazione», «discussione». La scommessa consiste nel ricostruire la democrazia dal basso, nell’attivare le «intelligenze collettive» presenti nella società civile, evitando le derive che negli ultimi decenni hanno inquinato e deviato verso binari morti il cammino del confronto pubblico. Qualche segnale incoraggiante c’è già. Pensiamo al ruolo dell’associazionismo civico preoccupato per la dilagante aggressione al territorio, oppure al percorso, testé iniziato, che porterà all’adozione del Piano Direttore comunale di Lugano (PDcom). Un insegnamento di metodo per i partiti che si apprestano a varare le loro piattaforme programmatiche in vista delle elezioni in agenda il prossimo anno.