Ricordare fa bene alla democrazia

/ 19.07.2021
di Aldo Cazzullo

Vent’anni fa, in questi giorni, partivo alla volta di Genova per il G8, il vertice degli otto Paesi (allora) più industrializzati del mondo. Organizzava l’Italia. Il precedente di Seattle, con scontri durissimi, avrebbe dovuto mettere tutti in allarme. Genova, tutta viuzze, non era la città giusta. Silvio Berlusconi aveva appena vinto le elezioni. Presidente della Repubblica era Carlo Azeglio Ciampi, che dopo la morte di Carlo Giuliani apparve in televisione per tentare generosamente di salvare il summit. Il ministro dell’Interno Claudio Scajola rimase a Roma e non fece una gran figura. In questura a Genova c’era Gianfranco Fini, allora aspirante uomo forte. Fu un disastro. Città militarizzata. Barriere dappertutto. Elicotteri.

Passai una giornata e una notte con i «capi» della rivolta, Vittorio Agnoletto e Luca Casarini. Si capiva che non ne sarebbe venuto nulla di buono. Fausto Bertinotti, già segretario di Rifondazione comunista, e altri trattarono con Gianni De Gennaro, allora capo della polizia, una violazione simbolica della «zona rossa» che proteggeva gli otto leader, ma qualcosa andò storto. Prima gli scontri di piazza, durissimi. Poi la spedizione notturna alla scuola elementare Diaz, dove non dormivano i violenti che avevano devastato Genova ma ragazzi venuti da ogni parte del mondo, quasi tutti con spirito pacifico. Quanto ai black bloc, non si è mai capito bene chi fossero, da dove venissero, se siano stati scientemente lasciati agire indisturbati, se siano quindi stati usati come alibi per la repressione successiva.

C’è un film, Acab,  in cui un poliziotto interpretato da Marco Giallini parlando della Diaz dice in romanesco: «La peggior c... della vita nostra». Ma, per quanto si sforzi di guardare le cose dal punto di vista degli agenti, quel film è comunque stato scritto su qualche terrazza romana. Perché i poliziotti quelli veri non la pensano così (certo non tutti, ma molti). Mi ha colpito leggere le dichiarazioni di un agente, il quale rifarebbe mille volte l’incursione in quella scuola e, quando gli si chiese di scusarsi, rispose: «Alla Diaz io non ho visto violenze». Anche io ero alla Diaz. Ed era impossibile non vedere i segni delle violenze. Sono entrato, con altri colleghi, subito dopo che erano usciti i poliziotti e le barelle con i feriti più gravi. C’era sangue dappertutto, sui muri, per terra. C’erano ragazzine straniere che urlavano e piangevano di paura. C’erano ovunque i segni di un comportamento privo di giustificazioni. Certo, l’irruzione nella scuola accadde alla fine di giornate drammatiche, in cui gli estremisti avevano cercato e trovato lo scontro. Ricordo che con Gian Antonio Stella, giornalista e scrittore, andammo in giro in moto (guidava lui) tra le barricate per sentire il punto di vista dei poliziotti, e raccogliemmo lo sfogo di un 50.enne, padre di famiglia, affranto per la fatica e lo sgomento, che ci diceva: «Perché ci odiano così?». Il comportamento di alcuni uomini di Casarini fu irresponsabile. Ma tutto questo non giustifica la mattanza della Diaz, né le torture di Bolzaneto, rivelate per primo da Giuliano Pisapia in un’intervista che mi concesse per «La Stampa».

La memoria di quei giorni è divisa. Siamo alle solite: perché la sinistra deve stare in automatico con i manifestanti e la destra in automatico con chi li manganella? Perché tutto deve sempre finire nell’ideologia? Perché non riconoscere che la Diaz fu una vergogna nazionale? A pagare furono soprattutto i manifestanti pacifici. Ma molti erano venuti a Genova per provocare e menare le mani, lo fecero, e fu in quelle circostanze che maturò la morte di Carlo Giuliani. Né va dimenticato che al G8 furono impegnati migliaia di poliziotti, e quelli che entrarono alla Diaz non furono più di 300. Per questo non si può e non si deve generalizzare. Mi piace ricordare che poco più di un anno dopo, al Social forum di Firenze, tutto si svolse pacificamente, anche se qualche irresponsabile sperò e si mosse sino alla fine perché si ripetessero i fatti di Genova. Per fortuna al Viminale era arrivato un politico d’esperienza che sapeva fare il suo mestiere: Giuseppe Pisanu. E il servizio d’ordine della Cgil quella volta fece la sua parte.

Resta il fatto che i pestaggi indiscriminati, le manganellate a pensionati, giornalisti stranieri, ragazze con le braccia alzate, le umiliazioni in caserma, la costruzione delle prove – a cominciare dalle molotov introdotte alla Diaz dalla polizia – sono avvenuti. E sono stati in buona parte rimossi. Ricordarli fa bene alla democrazia e, se l’onestà intellettuale prevarrà sullo spirito di corporazione, farà bene pure alle donne e agli uomini delle forze dell’ordine. Che troppo spesso sono indicati come «sbirri» mentre rappresentano il volto dello Stato. Sono pagati poco, ma fanno molto per la sicurezza degli italiani.