Repubblicani ostaggio di un partito trumpiano

/ 01.02.2021
di Peter Schiesser

Mentre Joe Biden inaugura la sua presidenza a spron battuto (vedi Rampini a pagina 19), all’opposizione i repubblicani, ancora rintronati dalla recenti sconfitte e la tumultuosa fine della presidenza Trump, faticano a a ritrovarsi; a definire un profilo che comprenda le due anime, quella trumpiana e quella tradizionale, per tornare a vincere e a riprendersi presto almeno una Camera del Congresso. In questo contesto, la domanda di fondo è: Donald Trump è un fattore di vittoria o di sconfitta per i repubblicani? La risposta non è univoca. Con lui hanno perso la Casa Bianca, pur mobilitando 6 milioni di elettori in più, e i due seggi della Georgia che garantivano loro la maggioranza al Senato. Ma senza di lui non si viene rieletti al Congresso. La grande parte della base del partito repubblicano è con Trump, anche dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio. I repubblicani che siedono a Washington l’hanno capito subito, già all’indomani dell’insurrezione. E lo hanno dimostrato la settimana scorsa, prefigurando un’ampia maggioranza di senatori contrari all’Impeachment di Trump.

Alla Camera dei rappresentanti la richiesta di Impeachment per incitamento all’insurrezione, nata sull’onda dello shock e della furia contro un presidente che aveva davvero superato ogni limite, era stata votata anche da 10 repubblicani, fra cui Liz Cheney, formalmente numero tre del partito. Tutti, come pure altri personaggi che si sono opposti a Trump, fra cui il governatore dell’Arizona Doug Ducey (aveva osato comunicare a Washington che nel suo Stato aveva vinto Biden), sono stati bollati come traditori, dai sostenitori di Trump ma anche dalla dirigenza del partito. Una loro rielezione in futuro è senz’altro in pericolo.

Al Senato il processo di Impeachment comincia il 9 febbraio, ma mercoledì scorso i repubblicani hanno segnalato che ben pochi di loro voteranno a favore, ben meno dei 17 necessari per ottenere la maggioranza qualificata (posto che tutti i 50 democratici votino sì): una mozione presentata dal repubblicano Rand Paul, che definisce anticostituzionale l’Impeachment di Trump poiché non più presidente, è stata bocciata al Senato con soli 55 contro 45 voti; si può star certi che quei 45 non voteranno a favore dell’Impeachment, la settimana prossima. Persino il più potente repubblicano al Congresso, l’ex speaker del Senato Mitch McConnell, ha votato per la mozione, nonostante avesse in precedenza segnalato di essere a favore dell’Impeachment: si vede che a conti rifatti ritiene che non sia ancora possibile liberarsi di Trump senza danneggiare ulteriormente il partito (a suo modo di vedere, danneggiato da Trump). Sui media statunitensi circolano ipotesi riguardo la nascita di un partito di Trump, quindi una condanna per Impeachment con almeno 17 voti repubblicani potrebbe provocare uno scisma. Con la conseguenza che i democratici vincerebbero più facilmente le elezioni, nel sistema maggioritario che vige negli Stati Uniti.

Questo il calcolo politico, almeno nell’immediato. Nel frattempo, congressisti fedeli a Trump trovano spazio nelle commissioni parlamentari, come la deputata georgiana Marjorie Taylor Green, ufficialmente adepta di Qanon. Ma in questo modo si perpetuano le ragioni delle sconfitte dei repubblicani: più si affermano nelle primarie i candidati dell’ala più a destra e meno c’è la possibilità di battere poi i candidati democratici. Inoltre, non si puniscono, anzi si ricompensano le tendenze illiberali e insurrezionali nel partito. I repubblicani moderati restano in sostanza avvinghiati in un partito trumpiano, sottovalutando forse il danno che così fanno al sistema politico statunitense. Infatti, rifiutando di votare per il secondo Impeachment di Trump di fronte alla gravità dell’attacco del Campidoglio (di cui loro stessi erano bersaglio!) segnalano al Paese intero che un presidente può permettersi anche di tentare di rovesciare l’ordine costituito e restare impunito.

Sulla scala degli estremismi, prima o poi arriva sempre qualcuno che sale più in alto: che cosa si permetterà di fare un futuro presidente, emulo di Trump? Che impatto avrà sulla popolazione la consapevolezza dell’impunità di un presidente? Il concetto di uguaglianza di fronte alla legge viene sacrificato sull’altare della sopravvivenza politica dei congressisti repubblicani e dell’unità del partito.

In realtà, molti politici repubblicani vorrebbero scrollarsi di dosso Trump e la sua eredità, ma non sanno come fare. Forse sperano che l’ex presidente si consumi da solo nei prossimi anni, schiacciato dalle indagini penali in corso e da altre che verranno, oppure troppo occupato a frenare il declino economico del suo impero, ben poco redditizio in questi anni e gravato da debiti per centinaia di milioni di dollari che giungeranno a scadenza nei prossimi anni. Ma se anche Trump dovesse perdere la sua presa politica (ora che i social media lo ostracizzano), il trumpismo non sparirà magicamente, né spariranno le cause che l’hanno reso possibile.