«Sono un repubblicano che si ispira ad Abramo Lincoln, credo nella tolleranza, nel rispetto reciproco e nel potere della diversità», ha detto Jack Ciattarelli dopo aver vinto le primarie repubblicane per la corsa a governatore dello Stato americano del New Jersey. Si è sentito un lungo, per quanto probabilmente temporaneo, sospiro di sollievo. Ciattarelli rappresenta una delle poche vittorie dell’ala moderata del Partito repubblicano, che è alle prese con il post trumpismo e che, in questa lotta nel fango, non ne sta uscendo benissimo. L’America si sta preparando ai prossimi appuntamenti elettorali, in particolare il voto di metà mandato del novembre del prossimo anno. Sembra prematuro parlarne ora, visto che in termini temporali è molto più vicina la vittoria di Joe Biden contro Donald Trump dell’autunno scorso, ma è in questi mesi che si decidono le candidature e che quindi si capisce quanto pesa o peserà il fattore Trump.
L’elezione per il governatore del New Jersey si tiene il prossimo 2 novembre. Si tratta di uno Stato democratico però le possibilità di vittoria di un repubblicano non sono remote. Per questo l’ascesa di Jack Ciattarelli è seguita con tanta attenzione. Lui sembra un antidoto al trumpismo che resta imperante nelle dinamiche di selezione e quindi di potere del Partito repubblicano. Trump fa di tutto per tenere la presa e di recente è ricomparso con un discorso pubblico incendiario. Quel che pareva la resistenza di un ex presidente che non voleva arrendersi all’idea di aver perso le elezioni, si sta trasformando in una nuova battaglia identitaria e poco importa se si fonda su una teoria del complotto: i democratici hanno imbrogliato. I dati dimostrano che la gente ci crede.
Ora, in passato abbiamo spesso pensato che un modo per evitare che certi complottismi prendano piede è quello di arginarli con il buon senso e la persuasione: non crederete che hanno votato i morti per davvero? Ma anche in questo caso, nonostante l’esperienza ormai maturata nei confronti delle dinamiche del trumpismo, la retorica aggressiva di Trump ha il sopravvento. E non è destinata a fermarsi, tutt’altro. L’appuntamento in Carolina del nord è stato il primo di quello che è stato definito il big lie tour, dove big lie, la grande bugia, è la vittoria di Joe Biden nel novembre scorso. Trump ripete che quella è stata un’elezione rubata, che Biden non ha vinto, che le istituzioni sono state travolte dalle menzogne dei democratici e che è necessario porvi rimedio con tutti i mezzi a disposizione.
L’ex presidente dice che il metodo principale è quello del voto di metà mandato ed è per questo che lancia e sostiene i candidati più fedeli (fedeli a lui e fedeli all’idea della grande bugia), ma ogni tanto lascia cadere qualche riferimento vago al fatto che il rimedio possa essere trovato in un altro modo. E le frotte dei suoi sostenitori, molti dei quali imbevuti di complottismo di ogni genere (come il gruppo QAnon che è tutt’altro che scomparso), organizzano e preparano la resistenza. A un certo punto è sembrato anche che ci fosse una data: il mese di agosto.
Quando Trump ha perso, molti sapevano che l’ex presidente avrebbe continuato a fare questa sua battaglia «da vittima», ma pensavano anche che senza il palco della Casa bianca, senza i social, senza il sostegno istituzionale, per forza di cose il suo messaggio si sarebbe indebolito o mescolato a tante altre bizzarrie fino a rendersi innocuo. Ma qui forse sta l’errore di calcolo: il Partito repubblicano. Quel partito che durante i quattro anni di Trump presidente si è tormentato su come inglobare un corpo quasi estraneo, ideologicamente, come The Donald, ora che può finalmente espellerlo, non lo fa. Anzi, fa a volte il contrario: emargina chi afferma che l’ex presidente non debba più avere nulla a che fare con l’evoluzione e l’offerta del partito. O evita che si facciano troppe indagini su quel che è accaduto il 6 gennaio scorso – l’assalto al Campidoglio – per evitare scoperte (che poi non sono scoperte, si sanno già molte cose) che possano alterare gli equilibri. Trump seleziona i membri del partito, quelli di adesso e quelli che verranno, sulla base della lealtà a lui, alla grande bugia e alla possibilità di un ritorno.
Ma il Partito repubblicano si lascia selezionare, lascia che sia l’ex, il perdente, a stabilire ancora le regole. Perché ha molti fondi, certo, ma anche perché ha molto seguito. Ed è questo consenso che spazza via ogni lotta identitaria e valoriale, come se fosse diventato un dispetto nei confronti di Trump e nei confronti degli elettori dirsi conservatori tradizionali. Uno come Jack Ciattarelli lo fa e si impone pure, ma è presto per nutrire speranze o forse è già troppo tardi.
Repubblicani ancora in balia di Trump
/ 14.06.2021
di Paola Peduzzi
di Paola Peduzzi