È pensabile una testa che se ne va in giro sopra il corpo di un altro? Be’, l’immaginazione non ha limiti, e la letteratura ha già azzardato questa ipotesi quasi ottant’anni fa: nel 1940 Thomas Mann scriveva un racconto dal titolo Le teste scambiate, ambientato in India; vi si narra, appunto, la fantastica vicenda di due giovani amici che si decapitano per fervore religioso. Poi la moglie di uno dei due scopre i cadaveri e ricollega le teste ai colli, ma nella fretta sbaglia a combinare teste e corpi, sicché i due cervelli si ritrovano l’uno sul corpo dell’altro.
Non c’è ovviamente nulla di attendibile nell’invenzione letteraria di questo racconto. Invece, ultimamente la scienza chirurgica sembra rendere realistica anche questa ipotesi fantastica. Giusto un anno fa un neurochirurgo italiano, con un collega cinese, ha annunciato d’essere pronto a procedere al primo trapianto di testa della storia; a quanto pare i due sperimentatori hanno già eseguito un intervento simile su topi che dopo il trapianto hanno recuperato il controllo degli arti. La notizia ha fatto un certo scalpore ma, per quel che ne so, non ha avuto seguito; anche perché l’intervento sarebbe molto costoso (il chirurgo ha chiesto cospicui finanziamenti a miliardari russi e americani) e durerebbe circa 36 ore, durante le quali 150 chirurghi si alternerebbero nell’opera di ricollegamento di muscoli, vasi sanguigni e tessuti. E comunque, l’esito appare senz’altro incerto e pieno di incognite. Un trapianto simile è stato eseguito in Cina su di una scimmia, che è sopravvissuta all’intervento ma è poi stata soppressa dopo una ventina d’ore per evitarle «inutili sofferenze».
Già, la sofferenza: non tanto quella corporea conseguente alla pratica chirurgica, ma quella del disorientamento radicale di una coscienza alienata: come può sentirsi un essere vivente che si risvegli straniero a se stesso, ospite di un altro corpo? È vero, la soggettività rimane, perché è affidata principalmente alla memoria; ma sappiamo da tempo che l’io non è un’entità astratta, come l’anima immateriale di Platone o il cogito di Cartesio – al contrario, è tutt’uno con il corpo che dialoga costantemente con il cervello in un continuo scambio di informazioni. Ogni individualità è l’insieme di mente e corpo. Dunque, questo inusitato scambio di corporeità dovrebbe causare uno sconcerto terrificante, almeno per molto tempo. Forse un’esperienza per certi versi simile è quella raccontata dal neuropsichiatra Oliver Sacks nel suo libro Risvegli. Nel 1917 e per una decina d’anni una grave epidemia di encefalite letargica colpì quasi cinque milioni di persone. Solo una piccola minoranza di malati sopravvisse in una sorta di torpore permanente; poi, nel 1969, la scoperta di un nuovo farmaco permise ai pochi sopravvissuti di riemergere alla coscienza – in un mondo diverso da quello che avevano conosciuto e dopo aver consumato la maggior parte della vita in una sorta di vuota nullità. Del resto, anche pazienti che, dopo aver perso una mano, ne hanno ricevuta una di ricambio da un donatore, hanno dovuto affrontare un periodo di «affiatamento» con il nuovo arto, che dapprima viene avvertito come estraneo.
Ancora una volta l’invenzione letteraria ha precorso i tempi. Nel racconto di Bulgakov Cuore di cane (1925) un chirurgo sovietico esegue un sensazionale esperimento: preleva l’ipofisi di un uomo assassinato e la trapianta in un cane. E il cane, in seguito, mostra un comportamento progressivamente umanizzato: comincia a camminare su due zampe, perde i peli, la coda e gli artigli, acquista l’uso della parola e si mette a parlare di Marx, a dire frasi scurrili, a commettere oscenità – anche se non perde l’istinto di aggredire i gatti di casa. Alla lunga la presenza di questo ibrido mostruoso risulta insopportabile: l’asportazione dell’ipofisi umana lo ricondurrà alla sua condizione animale.
Riecheggia, nel racconto di Bulgakov, l’ammonimento di quanto sia pericoloso forzare i limiti, far violenza alla natura; ma la tendenza faustiana a violare i confini naturali è connaturata all’uomo – tutta la civiltà ne è derivata. E poi, l’ipotesi di poter migrare in un corpo nuovo – questa sorta di reincarnazione tecnologica – è troppo allettante perché venga abbandonata. Certo, bisognerà aspettare nuovi progressi della medicina e della tecnica, ma non è escluso che ci si arrivi.
In fondo, non sarà poi una cosa tanto nuova: mi pare che siano già non poche le persone che sono addirittura «fuori di testa».