Il presidente cinese Xi Jinping è andato nel Wuhan la scorsa settimana per fare un tour vittorioso: abbiamo sconfitto il coronavirus. I contagi nella regione che fu il primo focolaio della trasmissione del covid-19 sono quasi ridotti a zero e anche nel resto della Cina l’epidemia sembra contenuta. Per questo Xi Jinping vuole utilizzare questa crisi sanitaria globale per rivendersi come il salvatore del suo Paese, e anche come un modello da imitare all’estero.
E per quanto possa suonare bizzarro, il presidente cinese ce la sta facendo: molti in occidente elogiano la determinazione e l’efficienza di Pechino, gli ospedali costruiti in pochi giorni, la chiusura totale – si sentono sospiri filocinesi ovunque. Intanto noi siamo alle prese con una pandemia dall’impatto sanitario ed economico ancora incalcolabile perché per molto tempo – non sappiamo quanto, non sappiamo niente: con i regimi così funziona – la Cina ha pensato di poter nascondere al resto del mondo il coronavirus. Il tempo è prezioso quando si tratta di contenimento e prevenzione, e il regime di Pechino ce l’ha rubato. Per di più non sappiamo che cosa è successo dentro al Wuhan inaccessibile: molte organizzazioni non governative hanno documentato violazioni sistematiche dei diritti civili, non certo una novità per Xi Jinping.
Quando il coronavirus è uscito dall’Asia – i focolai maggiori dopo la Cina erano Giappone e Corea del sud – il paese più colpito è stata l’Italia. Non si sa perché proprio l’Italia, ci sono molte teorie al riguardo, probabilmente si tratta di un caso, ma il fatto che non ci fosse un precedente occidentale cui ispirarsi ha fatto sì che l’Italia abbia dovuto agire basandosi sui consigli degli esperti che dicevano: il contagio si ferma soltanto con l’isolamento. Non c’è altro modo: solo evitando contatti.
Così il governo Conte si è trovato su un fronte non soltanto sanitario ma anche filosofico: trovare il confine tra libertà e irresponsabilità, segnarlo in rosso in modo che si veda, per lasciare intatta la democrazia mentre si sospendevano diritti acquisiti, primo fra tutti quello della libera circolazione. Scommessa difficile, applicata con un rigore che è parso a molti eccessivo: facciamo come i cinesi. Ci sono state alcune ribellioni, e molti cambiamenti repentini d’idea (il più clamoroso è quello di Matteo Salvini), ma ancora una volta: è una questione di tempo.
Gli altri paesi europei guardano l’Italia, danno solidarietà – ha iniziato anche la commissione europea a darne, concedendo quella flessibilità nei conti che ci è sempre sembrata preziosa ma ora di più – ma provano a fare diversamente. La linea del tempo e la curva di apprendimento sembrano non coincidere, e sì che almeno l’Italia aveva l’alibi di essere il primo focolaio in occidente, un po’ di improvvisazione era concessa. Francia e Germania non pensano al contagio – forse sanno che non possono più contenerlo? – ma ai loro sistemi sanitari nazionali: si occupano soltanto dei casi più gravi, per gli altri è solo un’influenza.
Il Regno Unito adotta l’approccio graduale come la Francia – un’altra dimostrazione che non c’è apprendimento: il tempo è importante, prevenire è importante – e si affida agli scienziati consiglieri più preparati, ma intanto punta sulla normalità: il premier Boris Johnson ripete che bisogna lavarsi le mani, e salutarsi da lontano.
Il caso più sconvolgente di non apprendimento resta però quello americano. Non soltanto c’è stata una grande resistenza ad adottare misure sanitarie ed economiche di precauzione ma l’Amministrazione Trump e i suoi megafoni mediatici hanno fatto una campagna di disinformazione brutale: il coronavirus è un complotto cinese e dei democratici per non far rieleggere Trump. C’è voluto il crollo di Wall Street e il contagio prossimo al presidente – almeno due repubblicani con cui lui è stato a contatto si sono messi in quarantena, nelle chat dei deputati è caccia al paziente zero – per generare una reazione nel presidente.
Ora sono allo studio molte misure per contenere il danno economico, mentre i governatori stanno agendo sulla base delle loro esigenze: anche in questo il coronavirus ha tracciato una linea sul rispetto delle autonomie locali ma sulla necessità di un coordinamento più ampio. L’apprendimento, se può consolare, sembra invece presente nell’elettorato democratico americano: vota per Joe Biden, cerca normalità, buon senso, cautela. Antidoti necessari, aspettando il vaccino.