In giro per l’Italia nelle cittadine di provincia, una domanda ritorna: «È la prima volta che venite a …»? Se la risposta è sì ecco la replica: «Allora non potete andare via senza aver visitato …». È successo a Macerata al Museo delle Carrozze, a Vigevano al Museo della Calzatura, ad Anzio al Museo dello Sbarco degli Alleati. I nostri amici non si limitano a suggerire la visita ma si prodigano per organizzarla al massimo livello, scomodando chi la dirige a farci da guida. A Macerata il museo era chiuso e hanno trovato il modo di farcelo aprire. Esame di coscienza: sarei capace di fare altrettanto con un conoscente in visita a Torino? No, se devo essere sincero, sono disposto al massimo a segnare sulla sua cartina i siti da visitare.
Se poi andiamo nelle regioni del Sud, l’ospitalità assume aspetti imbarazzanti per noi nordici. Nelle isole ci capita di sentirci ostaggi delle mani di coloro che ci hanno invitati e si prodigano per rendere indimenticabile il soggiorno. Siamo a Cagliari, la domenica sera, a cena in un ristorante. Domani pomeriggio prenderemo un aereo per tornare a casa, dopo una settimana trascorsa in giro per la Sardegna a presentare concerti di musica etnica. Il leader del gruppo annuncia: «Domattina vi veniamo a prendere in albergo e vi portiamo in giro per la città». Sapendo che i nostri amici musicisti insegnano al Conservatorio, dico che non è il caso, ci muoviamo da soli, non è la prima volta che veniamo a Cagliari. E qui commetto l’errore fatale: «Dateci piuttosto l’indicazione di una pasticceria dove comprare dolci di mandorle, è il compleanno di una figlia che ne va pazza». I quattro si consultano tra loro e il verdetto è: nessuno li fa buoni come le nostre mamme. Nonostante le nostre proteste, partono le telefonate e il pomeriggio del giorno dopo ci accompagneranno in aeroporto consegnandoci quattro grandi vassoi colmi di paste di mandorle. Abbiamo bagagli a mano, come faremo a portarli a bordo? Non c’è problema, giunti al varco, i nostri amici faranno un microscopico cenno d’intesa agli addetti e noi passeremo indenni reggendo in trionfo la pila di vassoi. Altro esame di coscienza: se fosse successo a me, a ruoli invertiti? Non c’è dubbio, avrei dato agli amici l’indirizzo di una pasticceria di Torino e al massimo avrei telefonato al titolare raccomandandogli di trattarli bene.
Dalla Sardegna passiamo in Sicilia, ad Agrigento per un calendario di presentazioni nei centri della provincia. È estate, fra due impegni serali c’è una domenica libera. L’albergo che ci ospita è fuori città, in riva al mare, potremmo sostare lì, fare i bagni. Per gli organizzatori è inaccettabile l’idea di lasciarci soli per 24 ore. L’assessore alla cultura verrà con la moglie a prenderci e ci porterà in un ristorante di Siculiana, località di mare a un centinaio di chilometri di distanza, dove prenderemo parte a un memorabile pranzo a base di pesce. Il tavolo è situato su una stupenda terrazza panoramica, da un lato si affaccia sul mare e dall’altro sulla piazza principale del paese. Al termine dei tanti assaggi del dessert, l’assessore propone: «Aspettiamo a ordinare il caffè». Indica una palazzina al fondo della piazza: «Là abitano i miei parenti, se siamo fortunati li troviamo in casa, ci faremo offrire il caffè da loro». Non mi sembra il caso di disturbare la gente nell’ora del riposo pomeridiano, lo provano le persiane chiuse, ma è inutile opporsi. Lasciandoci seduti al tavolo in compagnia della moglie, il nostro ospite si alza, attraversa la piazza, lo vediamo mentre suona al citofono. Si volta verso di noi e ci fa segno di raggiungerlo, i parenti ci sono. Non solo ci sono ma sono preparati alla visita, lo provano gli abiti della domenica e un lungo tavolo allestito con ogni tipo di dolciume, liquori e bevande varie, caffettiere appena tolte dal fuoco. Immagino che ci spiassero fra le liste delle persiane per farsi trovare pronti dopo che il nostro amico li aveva mobilitati.
Il giorno seguente, presentazione a Casteltermini. Prima dell’evento è prevista una visita al sindaco per la consegna di una targa ricordo. Segue una sosta in una pasticceria per prendere un caffè. Mentre ci avviamo un accompagnatore mi sussurra che il locale è della sorella del sindaco il quale, appena entrati, m’interroga: «Ti piace?». Il locale è sontuoso, con una profusione di arredi barocchi. Manifesto la mia stupefatta meraviglia, elogiando soprattutto un vassoio situato in vetrina, colmo di dolci di ogni tipo. Errore, perché il giorno dopo troverò nella mia stanza d’albergo quel vassoio accompagnato a un biglietto del sindaco. Altra presentazione, questa volta a Racalmuto, paese natale di Leonardo Sciascia. C’è un intoppo: alle 21, in concomitanza con la mia, ne è prevista un’altra, organizzata da un circolo culturale, con una famosa e anziana poetessa. Accetto la proposta di spostare la mia alle 23, il ristorante resterà aperto apposta per noi. È inutile dire che rinuncerei volentieri alla cena. Finiremo di mangiare alle due di notte, con dei fichi buonissimi. Ne faccio l’elogio e chi mi ospita si stupisce: «Li trovi buoni? Dovresti assaggiare i miei». Si alza, sale in auto e va a casa a prendermene un cestino staccandoli dalla pianta. Questa è la Sicilia, signori miei, e questi sono i siciliani.