Questione di immortalità

/ 01.05.2023
di Benedicta Froelic

Chissà, sarà forse colpa della (vera o presunta) caduca impermanenza dell’epoca che stiamo attraversando, ma la famosa frase fatta secondo la quale «solo alla morte non c’è rimedio» sembra essere stata ormai smentita; infatti, sebbene il detto suggerisca che questo valga per tutte le umane faccende, oggigiorno l’ambito della musica pop-rock fa, in realtà, eccezione. Avviene così che, almeno nell’olimpo delle grandi star del genere, la morte non esista, al punto da non poterne nemmeno ammettere esplicitamente la presenza; anzi, l’impressione è che vi siano ormai svariati modi di «bypassare» la dipartita terrena tramite il tentativo di riportare in vita, almeno sul palco, figure simbolo ormai passate a miglior vita – come gli eventi succedutisi negli ultimi anni sulla scena musicale mondiale sembrano aver confermato.

Non è certo un caso, infatti, se i momenti più applauditi dei recenti concerti della nuova incarnazione della storica formazione inglese dei Queen (con il giovane Adam Lambert alla voce) sono quelli in cui l’attuale frontman intona Bohemian Rhapsody in coppia con una registrazione dell’indimenticabile Freddie Mercury ad accompagnarlo dal maxischermo – una tecnica recentemente perfezionata anche da Paul McCartney, che ha voluto duettare virtualmente con il vecchio compagno John Lennon durante la sua tournée mondiale del 2022, utilizzando nientemeno, per l’occasione, che il filmato del celeberrimo concerto sul tetto di Buckingham Palace del 1969.

In verità, non si può dire che questa sorta di «rianimazione» di artisti ormai scomparsi rappresenti un espediente poi così nuovo, soprattutto considerando come il gran numero di star musicali prematuramente scomparse abbia da sempre portato il pubblico internazionale a doversi confrontare con la consapevolezza della fragilità dei propri eroi. Eppure, oggi, nel momento in cui si ipotizza l’impensabile – addirittura una futura reunion dei Sex Pistols, forse l’ultima band che ci si potesse mai immaginare di rivedere su un palco – il sogno (o meglio, l’incubo) di creare un’illusoria immortalità per i miti della musica pop-rock si fa più pressante che mai. E il motivo è semplice: la tecnologia digitale, già in grado di riprodurre fedelmente qualsivoglia illusione, permette ormai di toccare picchi un tempo inimmaginabili.

Questo porta alla nascita di progetti «estremi» come Abba Voyage (2022-2023), spettacolo di enorme successo che vede lo storico gruppo svedese infine riunito sul palco a oltre quarant’anni dalla separazione – ma «solo» in una versione avatar generata dal computer: una sorta di avveniristico sosia digitale, che, incredibilmente fedele alla controparte originale, supplisce in modo più che dignitoso al rifiuto dei quattro ex membri della band di riunirsi di persona per un ultimo bagno di folla. Del resto, il solo fatto che uno tra i superstiti dei Sex Pistols si senta in dovere di considerare la possibilità di utilizzare un ologramma di Sid Vicious in occasione dell’ipotetico ritorno sulle scene nasconde, in verità, una constatazione di fondo ben più ampia: difatti, sebbene formazioni inossidabili quali quelle composte dagli ormai ottuagenari Who e Rolling Stones stiano ancora calcando i palchi di mezzo mondo (con Keith Richards divenuto un meme vivente a beneficio del web), pare davvero che la sete del pubblico verso una versione iconica, eternamente giovane e senza tempo – quasi «incastonata nella storia» – delle leggende del passato abbia ormai assunto la forma di una vera ossessione. Non paghi di ricercare nei propri idoli un rinnovato quanto illusorio senso di sé, i fan sembrano oggi pretendere da loro anche l’immortalità, o, almeno, l’eterna giovinezza: quasi come fantomatici Dorian Gray della cultura pop, essi sono infine chiamati a rappresentare la vittoria delle apparenze sulla sostanza, il trionfo del fascino e della prestanza sul decadimento.

Il tutto, in fondo, in un goffo tentativo di esorcizzare la paura della morte e dell’inevitabile caducità dell’esistenza: quella stessa impermanenza che gli ultimi tre anni, trascorsi tra un’emergenza e l’altra, sembrano aver più che mai enfatizzato e potenziato – e che, forse, oggigiorno fa un po’ più paura di prima.