Esiste un altro «ismo», a sua volta insidioso, sia pure diversamente rispetto agli attualissimi populismo e razzismo. Si chiama «ageismo», e l’ho scoperto, domenica scorsa, leggendo sul «Sole 24 ore» la recensione dell’ultimo saggio di Francesca Rigotti, De Senectute. Dove, la filosofa, docente di dottrine politiche all’università di Lugano, cita, appunto, quel termine di evidente origine anglosassone, ageism.
Fu, infatti, coniato da Robert Neil Butler, fisico e gerontologo americano nel 1969, cioè nel pieno della cultura psico-sociale. Anche il linguaggio doveva, allora, adeguarsi ai cambiamenti imposti dalla demografia e dall’economia, soprattutto nelle democrazie occidentali e in Giappone. Aumentavano le speranze di vita e s’infoltiva una categoria di cittadini non più riconducibili a un blocco unico, i vecchi, tout court. Per loro, i 60 anni, da traguardo erano diventati punto di partenza, verso una stagione ancora da inventare. Servivano, quindi, definizioni più differenziate, meno drastiche, persino lusinghiere. E se, in medicina, si allargava lo spazio della gerontologia, anche per i linguisti si era aperto un fertile campo d’intervento.
Osserva, in proposito, Ottavio Lurati: «Si doveva rispondere al bisogno di definire in termini positivi la vecchiaia, a lungo vissuta come sofferenza e isolamento». Ed ecco che i vecchi diventarono gli anziani, quelli della terza, o quarta età, i seniores, e persino gli young old. Erano persone fortunate, giunte nell’età dei pensionati, nell’età libera, entrate addirittura nella «Bella età», come si chiamava una rubrica trasmessa dalla TSI. Insomma, si è assistito, almeno sul piano linguistico, al tentativo di riabilitare una stagione della vita, poco allettante, depurando la nostra parlata quotidiana da vocaboli considerati offensivi, tipo decrepito, bacucco, senile, decotto. Con ciò, al di là dei neologismi consolatori, l’età continua a essere lo spartiacque fra un prima godibile e un dopo preoccupante, al quale non si sfugge. E, paradossalmente, il fatto di essere diventato un tema onnipresente, ha trasformato l’attenzione per gli anni che passano in ossessione e fraintendimenti. Sfociando nell’ageismo, associato a pregiudizi e discriminazioni, di cui sono vittime, innanzitutto, le donne, punto centrale nel discorso della Rigotti.
L’invecchiamento al femminile ha conseguenze ben più incisive e più mortificanti. Il deterioramento dell’aspetto esclude la donna da molte attività, dove la bella presenza è d’obbligo. E non si sta parlando di attrici e showgirl, ma anche di commesse, guide turistiche, segretarie. Ma c’è dell’altro. Con la menopausa, la donna subisce la perdita di valore, determinata dal fatto che non sarà più in grado di procreare, allevare e persino di piacere. Constatazione banale, ma inevitabile: il maschio, esteticamente, invecchia meglio, anche se George Clooney rimane un’eccezione.
Ma c’è un altro aspetto del fenomeno ageism: il fattore età si manifesta, con effetti non meno deteriori, anche nei confronti dei giovani e dei giovanissimi. Che rappresentano un bersaglio sempre più esposto all’attenzione degli educatori e, d’altro canto, ai diffusi pregiudizi popolari. Gli adolescenti, in particolare, sembrano fare apposta per meritarsi l’appellativo di «età ingrata», che non è nuovo. Certo, comportamenti arroganti, rumorosi, aria sfottente: sono sotto gli occhi di una cittadinanza che replica con giudizi, ispirati non di rado al pregiudizio. Da svogliati, pigri, perditempo, «sdraiati», per usare la fortunata definizione di Michele Serra, si passa a sbandati, imbrattatori, teppisti, violenti. Avviene, insomma, un salto di qualità in cui, appunto, il pregiudizio ha la sua parte. Tanto che si considera l’ageismo una sorta di razzismo. Senza dubbio, le due categorie estreme, gioventù e vecchiaia, subiscono maggiormente i contraccolpi della strumentalizzazione dell’età. Ma, a ben guardare, non risparmia neppure la maturità, età di mezzo, che dovrebbe essere sinonimo di equilibrio, saggezza, affidabilità. Insomma il quarantenne perfetto. Personaggio illusorio, basti guardare la scena politica.