Quell’odio che resta dopo la guerra

/ 28.03.2022
di Aldo Cazzullo

La situazione in Ucraina si fa ogni giorno più drammatica. Altro che operazione speciale: è una guerra senza quartiere, compresi i crimini contro i civili, in particolare contro le donne. Una guerra in cui comincia ad accumularsi un odio da cui sarà difficile uscire, un male sottile da cui sarà quasi impossibile guarire. Due popoli fratelli, imparentati tra loro, dalle storie intrecciate, rischiano di diventare due popoli nemici. Come israeliani e palestinesi. A maggior ragione serve una soluzione diplomatica, che non può essere una resa senza condizioni dell’Ucraina, ma – purtroppo – non può neppure essere una resa senza condizioni di Putin, per il quale il potere coincide con la vita. Il satrapo di Mosca ha paura di fare la fine, se non di Gheddafi, di Mubarak: privato del potere, messo sotto processo, costretto a una morte avvilente e solitaria. Una via d’uscita andrà pur trovata. La battaglia di Mariupol conferma che l’Ucraina non può resistere a lungo in campo aperto all’esercito russo; può pensare di logorarlo con l’imboscata e con la guerriglia. E Putin non ha alcun interesse a farsi logorare sine die, senza sapere se e quando finirà. Forse si comincia a intravedere un punto di equilibrio, sia pure parziale e instabile. Putin potrebbe accontentarsi di conquistare la striscia che congiunge la Crimea al Donbass, facendo del mare d’Azov un mare russo, ma lasciando Zelensky al potere. In questo modo entrambi potranno sostenere di aver vinto: Putin aggiungerebbe al suo immenso Stato un pezzo di Ucraina; Zelensky salverebbe l’indipendenza della gran parte del suo Paese, oltre che il posto e la pelle. Sarebbe comunque un’ingiustizia. Sarebbe un compromesso: una pace armata, uno stallo non certo indolore – ci sono posti nel Mediterraneo, dal Kosovo al Libano, dove senza una forza di interposizione internazionale le ostilità riprenderebbero il giorno dopo – ma preferibile alla strage quotidiana. Se invece Putin non si accontenterà, e continuerà ad attaccare nella speranza di ottenere una conquista simbolica – Kiev e Odessa – se non di deporre Zelensky e instaurare un governo fantoccio, allora i tempi si prolungherebbero ancora, e potrebbe accadere qualsiasi cosa, a Kiev come a Mosca. Ma nessuna persona raziocinante potrebbe augurarsi uno scenario del genere.

C’è poi un altro aspetto interessante. La guerra in Ucraina è anche il fallimento dell’intelligence di mezzo mondo. A cominciare dall’intelligence russa, dalle cui fila proviene Putin. Che ora ha fatto fuori il generale Sergej Beseda, capo della sezione dell’Fsb – i servizi russi – che si occupa dei Paesi dell’ex Unione sovietica, accusato di aver sottovalutato la resistenza ucraina e di aver indotto Putin in errore. Va detto però che l’intelligence americana aveva previsto da tempo l’invasione. Sono gli stessi americani ad aver armato e addestrato le forze armate ucraine. Al punto da accreditare un’ipotesi: che l’amministrazione Biden avesse non solo previsto, ma che avesse non diciamo auspicato o assecondato l’invasione, bensì che vi si fosse preparata. Se fosse autentica questa interpretazione, Putin si sarebbe infilato in una trappola. Ora la strategia Usa sarebbe di logorare la leadership dello zar e il suo esercito. Al punto che a breve potrebbe essere Putin, e non Zelensky, il duellante più bisognoso di una tregua. A meno che lo zar non torni ad agitare lo spettro delle armi chimiche, se non nucleari. A questo punto tutto diventa possibile. Ma non ci voglio neppure pensare. Mi limito a far notare che mai, neppure nei giorni peggiori della guerra fredda, si sono sentite parole tanto minacciose da parte dei governanti e della propaganda. L’altro giorno alla tv russa un commentatore ha minacciato la Polonia, ricordando che «in 30 secondi non resterebbe nulla di Varsavia» se i russi usassero l’arma nucleare per punire i polacchi dall’aiuto fornito all’Ucraina.

Ma se c’è qualcosa da raccontare ai confini tra Ucraina e Polonia è la marea di profughi costretti dall’aggressione russa a lasciare la loro terra e a cercare scampo verso Occidente. Certo, ci sono anche armi che passano dalla Polonia all’Ucraina. Ma armare un popolo che resiste è giusto; proprio come era giusto da parte degli inglesi e degli americani armare i resistenti italiani, tra il 1943 e il 1945, quando c’era da resistere all’invasione nazista. La storia non si ripete mai uguale a sé stessa, ma le categorie dell’aggressore e dell’aggredito, dell’invasore e dell’invaso, quelle sì restano le stesse. Per questo l’Occidente ha una parte da cui stare. Ed è quella del popolo ucraino.