Rimarrei barricato in casa ancora per un paio di mesi se qualcuno fosse in grado di assicurarmi che uscendo ritroverei il mondo caotico e insopportabile di prima: senza mascherine e distanziamenti obbligati, ma con la libertà di inabissarmi felicemente nella ressa maleodorante della metropolitana e di entrare in un supermercato facendo a spallate per raggiungere prima la cassa. Anzi no, rimarrei barricato in casa ancora quattro mesi se qualcuno fosse in grado di garantirmi, oltre alla sopravvivenza, un ambiente un po’ più tollerabile: non le duecento macchine al minuto che sfrecciano sullo stradone che porta verso il centro città, ma soltanto un centinaio. Non le solite code di mezz’ora al casello della tangenziale, ma un codino di dieci minuti. Non le solite dosi di biossido di azoto, ma la metà di quelle che ingurgitavamo in gennaio, in modo che i polmoni di mia figlia Maria, che ha tredici anni, respirino finalmente un po’ più in allegria.
A pensarci bene, rimarrei barricato in casa sei mesi, se tornando fuori, trovassi zero auto e soltanto tram e autobus (elettrici) puntuali, efficienti, puliti. Anzi, voglio esagerare: accetterei un «lockdown» di un anno intero se tornando a vivere all’aria aperta trovassi miracolosamente, a due passi da casa, oltre che mezzi pubblici perfettamente funzionanti e polveri sottili in quantità non letali, un bel parco dove andare a fare una passeggiata pomeridiana, sedermi su una panchina, leggiucchiare un libro, godermi la frescura delle fronde e il silenzio, senza rombi di aerei che ti volano sopra la testa ogni due minuti.
Ma voglio proprio rovinarmi: rimarrei barricato addirittura un anno e mezzo se uscendo avessi a disposizione, oltre al parco e ai mezzi pubblici, anche marciapiedi su cui camminare senza fare slalom tra le macchine parcheggiate di traverso, magari una pista ciclabile lungo la quale pedalare tranquillamente liberato dell’ansia di essere travolto dall’esaltato in eccesso di velocità.
Naturalmente sono vaniloqui, paradossi d’aria (voto d’aria globale 2). Il «lockdown» – breve, lungo o lunghissimo che sia – non assicurerà salti di qualità della nostra Weltanschauung e tanto meno della nostra vita quotidiana. Si discute di come e se cambieremo dopo la clausura forzata. Il timore è che continueremo con le abituali follie, come se nulla fosse (stato): sprechi, corse paurose, sfruttamenti spietati, investimenti elettrizzanti, motori accesi, acquisti inutili per chi potrà permetterseli, desideri rabbiosi per chi non potrà permetterseli.
Gli ottimisti filosofici (3) ricordano che dalla peste nera del 1348 venne fuori il Rinascimento. Si potrebbe obiettare che il preumanesimo di Petrarca e di altri precedette la peste, e a dire il vero oggi non si vedono in giro molti preumanisti capaci di annunciare un vero Rinascimento culturale post-coronavirus. Al massimo si passerà dal governo Conte al governo Salvini o Meloni, che di umanistico promettono ben poco e non sembrano somigliare ai principi fiorentini quattrocenteschi. Semmai, volando più basso, potrebbe avere ragione la psicologa belga Elke Van Hoof (5+), che considera la pandemia un gigantesco esperimento psicologico capace di mettere a dura prova la nostra fragilità emotiva: ne seguirà un generale logoramento da stress, con depressione diffusa, insonnia, ansia, frustrazione.
Nella prevedibile crisi economica, potrebbero avere molto lavoro, oltre ai pizzaioli, gli psicologi e gli psichiatri. E ovviamente non verranno meno i ciarlatani molto medievali e pochissimo rinascimentali. Quelli che imperversano, come i becchini durante la peste del 1348. Ciarlatani da strada (e magari da tv). Quelli che bisogna fare gargarismi con la candeggina, quelli che tagliarsi la barba evita il contagio, quelli che l’epidemia rende sterili (soprattutto i maschi), quelli che i gatti trasmettono il virus, quelli che bisogna lavarsi i capelli ogni volta che si rientra in casa, quelli che le suole delle scarpe sono ricettacoli, quelli che il pane è un ricettacolo, quelli che gli extracomunitari sono immuni, quelli che gli extracomunitari sono gli untori, quelli che mangiare aglio previene l’infezione, quelli che bere acqua lava il virus, quelli che l’acqua però deve essere bollente, quelli che arance a gogò per debellare il contagio, quelli che non le arance ma i limoni (e i pompelmi?), quelli che il miele è miracoloso, quelli che bisogna disinfettarsi con l’argento colloidale, quelli che il risciacquo del naso con soluzione salina aiuta sempre, quelli che il virus vola fino a cinque metri, quelli che i metri sono solo tre, quelli che bisogna puntare sugli antibiotici, quelli che attenti alle zanzare, quelli che con tre mascherine sono più protetto, quelli che sì però sono ancora più protetto con quattro mascherine, quelli che bisogna fare un bagno caldo, quelli che basta un bicchierino di grappa, quelli che per sapere se sono infetto devo pungermi un dito e verificare il colore del sangue, quelli che i raggi ultravioletti sono fantastici, quelli che tutto passa iniettandosi dell’amuchina nel sangue.
Sugli ultimi due gruppi di idioti mi viene un dubbio sottile come la polvere… Quelli o quello (-1)?